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Anna Yoga. L’alimentazione nello yoga

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Come possiamo abbinare yoga e alimentazione per il nostro benessere fisico, mentale e, perché no, anche etico?


Redazione Le Vie del Dharma

Come possiamo abbinare yoga e alimentazione per il nostro benessere fisico, mentale e, perché no, anche etico?

Nei testi classici dello yoga in realtà non ci sono indicazioni precise e dirette sul “cibo per lo yoga”. Come mai?
Forse perché “tutto è cibo e anche perché il come mangiare è più importante del cosa mangiare”.

I classici dello yoga invitano a riflettere non solo sul tipo di cibo da introdurre nella propria alimentazione, ma anche sul nostro atteggiamento verso il cibo e “sull’effetto che desideriamo ottenere dal cibo che consumiamo. Il cibo non è solo cibo, è anche quello che vediamo, sentiamo, leggiamo, annusiamo, respiriamo, diciamo perfino. Tutto ciò che entra in relazione con noi è cibo, e ci influenza. Ci nutriamo anche guardando il bello, leggendo cose ispiranti, ascoltando musica rilassante, celebrando.
Perché mangiare ci mette ogni volta in relazione con il cosmo. Secondo la visione indù delle cose, il cibo è qualcosa di divino, di meraviglioso, qualcosa da rispettare; cibarsi è un atto sacro. E va celebrato.”*

*(dal libro “Dal tappetino al piatto. Mitahara” di Cinzia Picchioni, edizioni Magnanelli)

Che cosa dovrebbe mangiare un praticante di yoga?

La prima risposta che vi proponiamo arriva direttamente dagli yama della tradizione yogica: si tratta di cinque regole etiche e morali universali, di cui il saggio Patanjali parla in uno dei testi fondamentali dello yoga, Yoga Sutra.

Questi cinque freni o “astinenze” danno indicazioni per evitare o limitare i comportamenti che possono essere dannosi e distruttivi per il praticante di yoga e per le sue relazioni con gli altri.

La prima e più importante yama– nonché trasversale a tutte le altre – è ahimsâ, cioè la nonviolenza.

Per rispettare il principio della nonviolenza uno yogin (cioè un praticante di yoga, yogini se donna) non dovrebbe mangiare nessun animale: se mangio un animale, vuol dire che io o qualcuno per me l’ha ucciso e ho dunque commesso violenza, infrangendo la regola dell’ahimsâ.

Dunque niente carne, pesce, salumi, insetti. Per l’apporto proteico il vero yogin si orienterà sulle proteine vegetali, contenute in quantità nei legumi (come fagioli, piselli, ceci, fave, soja, lenticchie) e nei semi (mandorle, nocciole, arachidi, anacardi, olive, semi di girasole, di sesamo, di zucca).

L’autentico praticante dello yoga potrà poi scegliere se nutrirsi con l’enorme gamma di latticini, che sono ammessi nella tradizione dello yoga, ma che oggi però provengono per lo più da allevamenti industriali che, pur senza ucciderli, causano e hanno causato sofferenza agli animali.

Chi compie una scelta di vita vegana non mangia dunque carne, pesce e salumi, né si nutre di sottoprodotti animali come i latticini, le uova e neppure di miele.

Diventare vegetariani

Scegliere una dieta vegetariana non è un passo repentino e obbligato per chi pratica yoga.
Spesso il passaggio dalla dieta onnivora a quella vegetariana è graduale, avviene man mano che aumenta l’esperienza nella pratica, la consapevolezza e l’attenzione ai princìpi etici dello yoga.

Per affrontare questo passaggio graduale, ci si può ispirare alla classificazione dei cibi secondo la tradizione indiana dello yoga e dell’ayurveda (fail test per scoprire che dosha sei secondo l'ayurveda), che suddividono gli alimenti secondo il loro guna (letteralmente “virtù, caratteristica”).

I tre guna sono:

  1. Tamas, il guna della pesantezza, dell’inerzia. A questa categoria appartengono la carne, i salumi, i cibi inscatolati, o precotti e poi riscaldati, i grassi.
  2. Rajas, il guna dell’energia, a cui appartengono i cibi eccitanti (caffè, tè, vino, birra, alcolici), i cibi piccanti, amari, tutte le spezie.
  3. Sattva, il guna della leggerezza e dell’armonia: vi appartengono il riso, il grano, il miglio, il mais, l’avena, l’orzo, il latte, il miele, i legumi e la verdura, tutti cibi leggeri e puri.

Tamas, Rajas, Sattva, sono i tre guna, le influenze esercitate dall’energia materiale su tutte le cose.
Tamas corrisponde all’ignoranza (illusione, confusione, pigrizia); Rajas corrisponde alla passione (avidità, attaccamento, desideri); Sattva corrisponde alla virtù (conoscenza, moderazione, serenità).

Per cominciare senza “rivoluzionare” da un momento all’altro la propria alimentazione, il praticante di yoga può iniziare privilegiando i cibi sattvici, ovvero della terza categoria. Contemporaneamente può diminuire i cibi della seconda categoria ed eliminare quelli della prima (o anche mangiarne solo una o due volte alla settimana, per cominciare).

Cibi sì, cibi no

Il consumo di carne è dunque sconsigliato; oltre a irrigidire le giunture, rendendo più difficili molte posizioni dello yoga in cui sia richiesta flessibilità articolare, la carne appesantisce, anche nel senso di rendere l’energia più pesante, cioè tamasica.

Per rispettare l’indicazione degli yama che invita alla pulizia è meglio escludere anche gli alcolici (d’altra parte facciamo yoga per essere svegli e consapevoli, mentre l’alcool produce l’effetto contrario).

No anche ai cibi troppo grassi (come i latticini) o troppo proteici (come le uova mangiate troppo spesso).

Sì a quegli alimenti che hanno qualità sattviche. Puri, questi cibi aumentano l’energia, la forza e la resistenza, senza appesantire, per esempio:

  • cereali (orzo, riso, miglio);
  • frutta secca e fresca;
  • ortaggi;
  • spezie e semi (inclusi i legumi, cioè le proteine vegetali: ceci, lenticchie, soia rossa e verde, fagioli di tutti i tipi, piselli, fave, lupini);
  • erbe.

Per lo yoga è meglio mangiare moderatamente e “alzarsi con lo stomaco ancora un po’ vuoto”, seguendo l’adagio secondo cui nello stomaco deve esserci “un terzo di cibo solido, un terzo di cibo liquido e un terzo di spazio perché il cibo possa muoversi”. Perciò, qualunque sia il cibo che decideremo di assumere, è meglio che sia poco in quantità.

Ma in pratica, cosa è meglio mangiare quando faccio yoga?

Ecco un esempio pratico di alimentazione adatta alla salute e al benessere di chi fa yoga.

  • Colazione: tè, o tisana, o caffè d’orzo, con latte vegetale (di riso, soia, avena, orzo), pane integrale (spalmato con miele o malto o marmellata senza zucchero raffinato), oppure muesli con qualche nocciola o mandorla; evitare la frutta, che è meglio mangiare fuori pasto
  • Pranzo: riso con verdure e/o una piccola porzione di legumi
  • Cena: zuppa, in migliaia di combinazioni per tutti i gusti, e un po’ di pane integrale (soprattutto se si è praticato yoga fino a tardi è meglio mangiare poco o niente, altrimenti non si dormirà bene perché si starà ancora digerendo!)
  • Spuntini e merende: zenzero candito, frutta fresca, secca e/o disidratata

Uno spunto per riflettere

Per aiutare noi stessi a fare scelte alimentari consapevoli e, se si è scelto di muoversi verso il vegetarianesimo o il veganesimo, per trovare un sostegno nel passaggio da uno stile di alimentazione all’altro, può essere di grande utilità tenere un diario alimentare, in cui annotare anche la nostra risposta ai cibi e come contribuiscono (o meno) al nostro benessere generale e ai nostri progressi nella pratica.

Infine, prima di iniziare a mangiare, è consigliabile fermarsi un momento e riflettere, anche partendo da spunti, letture, citazioni e suggerimenti. Ve ne proponiamo qualcuno.

Mangiare cibo sattvico in moderazione è il miglior mezzo per purificare la mente.
(Ramana Maharshi)

La qualità del cibo viene determinata dalla vibrazione della quale esso è intriso e dallo stato d’animo delle persone che lo manipolano, lo preparano e lo servono
(Satya Sai Baba)

Anna dathu sukhi bhava
(“Che colui che dà il cibo sia felice”, benedizione vedica per il cuoco)

Annam Brahman
(“Il cibo è divino”, dettame vedico)

Lo yoga non è in verità di colui che mangia troppo, né di colui che troppo si astiene dal cibo, ma di colui che è misurato negli alimenti
(S. Piano, Enciclopedia dello yoga, Magnanelli, Torino 1996, p. 207)

Determinati precetti alimentari, fondamentalmente vegetariani, aiutano a raggiungere un migliore orientamento spirituale e una maggiore consapevolezza interiore. Ci rendono conto, innanzi tutto, di come il nutrimento proviene da tutte le fonti dell’universo e non esclusivamente da ciò che ingeriamo comunemente. Anche l’aria che respiriamo, le vibrazioni sonore, le radiazioni cosmiche ci forniscono energia e danno vita. Ma per trarre il massimo da questi insoliti cibi, come dalle pietanze della nostra cucina, è necessario seguire consapevolmente alcune semplici regole morali. Prima e dopo il pasto, indirizzare la propria profonda gratitudine per il cibo che proviene dall’infinito universo. Masticare con cura […], riflettendo continuamente sull’attività fisica e spirituale da esso prodotta. Respirare profondamente e con calma […] e, mangiando, tacere per trarre dal nutrimento sensazioni di benessere e serenità. […] Concentrarsi sul cibo e cercare di scoprire ch’esso rappresenta sempre un messaggio d’amore, una concreta manifestazione divina, sulla quale hanno agito esseri viventi ed esigenze planetarie. Apprezzare affettuosamente quanto viene offerto procura soddisfazione e gioia. Meditare sul suo significato e valore produce comprensione e chiarezza interiore. La riconoscenza, infine, ottiene la comunione. Al termine del nostro pasto, prendere coscienza del fatto che quanto abbiamo diviso con familiari, amici ed ospiti procura qualità di sangue, corpo, movimenti, pensieri e sentimenti simili a ciò che abbiamo mangiato ed a come lo abbiamo consumato. Non saziarsi mai completamente! Un leggero appetito è un ottimo impulso per il corpo eterico ad andare alla ricerca degli alimenti mancanti in regioni superiori, più sottili.
(Fonte: Jack Santa Maria, Lo Yoga del nutrimento, siad, Milano 1983, pp. 19-20).


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