CORONAVIRUS: intervista a Enrica Perucchietti
Attualità e Informazione libera
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In un momento di emergenza globale dovuta alla pandemia da Covid-19, esce per Uno Editori il saggio scritto a quattro mani dalla giornalista e scrittrice Enrica Perucchietti e dall’avvocato e saggista Luca D’Auria, CORONAVIRUS. IL NEMICO INVISIBILE. Il libro intende rispondere a numerose domande e sollevare altrettanti quesiti, offrendo un quadro giornalistico e un'analisi filosofica, sociologica e antropologica della pandemia e di come l’emergenza sanitaria stia modificando in maniera sostanziale la vita di tutti noi. Abbiamo incontrato per i nostri lettori la coautrice Enrica Perucchietti per rivolgerle alcune domande sul suo nuovo saggio.
Redazione Web Macro
Perché un Istant Book sul Covid-19?
Perché in un momento di crisi planetaria, in cui si fatica a comprendere il vero volto di quello che ho definito un “nemico invisibile”, era a mio dire necessario provare fare chiarezza e tentare di ricostruisce la genesi e la diffusione della pandemia, presentando anche le incongruenze, le lacune e le contraddizioni della versione “ufficiale”.
L’obiettivo che mi sono posta era quello documentare come esista un acceso dibattito su diversi punti cruciali che a oggi risultano ancora fumosi e indeterminati: in particolare origine, luogo e cause del contagio. Esistono infatti ipotesi diverse, persino sostenute da eminenti scienziati o analisti, che si differenziano dal resoconto semplicistico che è stato offerto all’opinione pubblica.
La seconda parte del libro, curata dall'avv. Luca D’Auria, vuole invece raccontare un’ipotesi sul presente e sul futuro provando a in chiave filosofica, sociologica e antropologica i mutamenti della nostra società schiacciata sotto il peso dell’emergenza sanitaria.
Quali sono le tesi alternative che analizzi nel libro?
Va fatta una premessa: non sappiamo ancora nulla di certo. A oggi risultano fumosi e indeterminati dei punti cruciali che riguardano la pandemia: in particolare origine, luogo e cause del contagio. Pertanto ho preso in considerazione, citando fonti documentate, anche la pista dell’errore umano, cioè l’ipotesi della fuga del virus dal laboratorio di biosicurezza di Wuhan; la possibilità che il contagio non sia partito in Cina; un attacco bioterroristico.
Secondo «The Lancet», in uno studio realizzato da diversi ricercatori esperti in virologia ed epidemiologia, l’ipotesi della genesi del contagio dal mercato ittico, che è diventata la versione “ufficiale”, non sarebbe del tutto fondata. Nel report gli studiosi hanno messo in luce come 13 dei 41 casi successivi al paziente zero non abbiano avuto alcun contatto con il mercato di Wuhan, escludendo anche che vi siano stati «legami epidemiologici fra il primo paziente e gli altri casi».
In un articolo del 2017 per «Nature», David Cyranoski sollevava inquietanti dubbi sulla sicurezza del laboratorio di Wuhan, scrivendo che alcuni scienziati al di fuori della Cina erano preoccupati per la fuga di agenti patogeni e per l’aggiunta di una “dimensione biologica alle tensioni geopolitiche” tra la Cina e altre nazioni. Cyranoski già nel 2017 accennava pertanto all’allarme sollevato da diversi scienziati, preoccupati per l’eventuale fuga di agenti patogeni dal laboratorio di Wuhan.
L’eminente epidemiologo e pneumologo Zhong Nanshan – colui che scoprì il coronavirus SARS nel 2003 – ha invece dichiarato durante una conferenza stampa del 27 febbraio che sebbene il virus sia apparso per la prima volta in Cina «potrebbe non essere nato in Cina».
Altrettanto emblematiche le accuse ufficiali rivolte agli USA, che spostano il dibattito sullo scacchiere geopolitico. Giovedì 12 marzo il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian, tramite un tweet al vetriolo, ha accusato il governo americano di poter essere responsabile della genesi della pandemia: i militari statunitensi potrebbero aver portato il coronavirus a Wuhan. La posizione di Lijian è stata ripresa e condivisa da diversi ricercatori e analisti. La CNN, per esempio, ha ricordato un episodio che descrivo nel primo capitolo del libro: lo scorso ottobre centinaia di atleti delle forze militari americane erano a Wuhan per i Military World Games. Il direttore del Centers for Disease Control (CDC) Robert Redfield, in un video pubblicato da «People’s Daily», ammette che alcuni americani che in precedenza – prima dell’inizio dell’epidemia in Cina – si pensava fossero morti di influenza sarebbero stati in realtà contagiati dal Covid-19.
Vi sono poi ipotesi più estreme che intendono avvalorare invece la pista della guerra batteriologica. Un eventuale attacco bioterroristico, secondo queste teorie, rientrerebbe all’interno della guerra commerciale tra USA e Cina. I Paesi più colpiti dal contagio, oltre alla Cina, infatti, sarebbero l’Italia e l’Iran, partner commerciali di Pechino. La pandemia ha infatti danneggiato la Nuova Via della Seta, BRI (Belt and Road Initiative), l’ambizioso programma del governo cinese che intende finanziare con oltre 1.000 miliardi di dollari volti alla realizzazione o al potenziamento di infrastrutture commerciali – strade, porti, ponti, ferrovie, aeroporti – e impianti per la produzione e la distribuzione di energia e per sistemi di comunicazione in quasi ogni angolo del pianeta.
In questo scenario il saggio affronta anche il rischio di possibili attacchi speculativi all’Italia e mostra la spietatezza con cui l’Europa ha trattato l’Italia nel momento iniziale del contagio.
Esatto. Indipendentemente dalla genesi della pandemia, ritengo che l’emergenza che ha colpito il nostro Paese sia stata strumentalizzata all’estero per screditarci e per aprire le porte a possibili attacchi e speculazioni finanziarie. L’Italia è stata trattata letteralmente da “appestata”: gli “aiuti” dalla UE si sono fatti attendere, nessun Paese dell’Eurozona ci ha mandato le mascherine che avevamo richiesto (gli aiuti sono arrivati infatti dalla Cina), diversi Paesi hanno richiesto un bollino “virus free”. L’Italia è stata dipinta come un lazzaretto a cielo aperto, l’epicentro del contagio a livello globale.
E che dire della disastrosa conferenza stampa di Christine Lagarde, presidente della BCE, che ha affondato i titoli di Stato dell’Italia, facendo esplodere lo spread? Inizialmente considerate come una brutta gaffe, le parole dell’ex governatrice del FMI potrebbero nascondere un altro intento, ossia una speculazione finanziaria per mettere le mani sugli asset strategici dell’Italia. Liquidare le dichiarazioni di Lagarde come un svista o una semplice gaffe potrebbe essere riduttivo e miope, anche perché non ci troviamo di fronte a una dilettante.
Come hanno segnalato diversi giornalisti, qualcuno aveva inoltre previsto con largo anticipo quanto sarebbe avvenuto. «Il Corriere della Sera» del 6 dicembre 2019, in un articolo a firma Giuseppe Sarcina, riportava l’allarme degli analisti di Wall Street a seguito della mossa dell’Hedge Fund Bridgewater che aveva deciso di scommettere sul crollo delle Borse nel mese di marzo 2020. Ray Dalio, il fondatore di Bridgewater, aveva infatti versato 1,5 miliardi di dollari per sottoscrivere contratti di assicurazione, le put options, con l’obiettivo di proteggere il portafoglio di gestione: circa 150 miliardi di dollari in azioni e investimenti finanziari. Lo stesso finanziere, il 5 dicembre, era uscito allo scoperto, spiegando che in realtà l’operazione non nasceva dalla sfiducia, ma era parte di una particolare strategia di gestione al servizio dei suoi clienti.
Nel sottotitolo del libro si parla di “paradigma della paura”, concetto che viene ripreso nella seconda parte del testo. Perché?
La paura è solo uno dei tanti tasselli nel processo di manipolazione sociale che il potere adotta da secoli. Si induce una crisi o la si strumentalizza per portare avanti politiche che sarebbero altrimenti impopolari ma che la percezione dello shock, indotto o reale che sia, legittima.
Nel libro mi domando se possa esistere un gruppo di pressione esterno al nostro Paese in grado di strumentalizzare l’attuale emergenza per interessi che non riguardano la collettività oppure delle organizzazioni in grado di pianificare e sfruttare i momenti di crisi per assicurarsi lauti guadagni (il cosiddetto capitalismo dei disastri di cui parlava Naomi Klein in Shock Economy).
In che senso?
In stato di paura l’opinione pubblica si sente disorientata, smarrita, come il prigioniero vittima di tortura. La popolazione sotto la minaccia di pericolo o dopo un forte trauma, necessita di una guida in quanto ha “perso la bussola”, si sente paralizzata dal terrore al punto da accettare qualunque proposta o intervento venga dall’alto.
Il “capitalismo dei disastri” sfrutta momenti di shock quali golpe, attacchi terroristici, crollo dei mercati, disastri naturali, guerra, che gettano la popolazione in uno stato di panico collettivo, per spingere i cittadini ad accettare manovre impopolari che in una condizione normale non tollererebbero. Sull’onda dell’emotività di eventi tragici che coinvolgono la mente e la “pancia” dell’opinione pubblica, si possono pertanto introdurre provvedimenti che sarebbero stati inimmaginabili in un clima sociale sereno.
Oggi, con la militarizzazione del Paese, siamo di fronte a quanto descritto dal filosofo Giorgio Agamben, ossia la creazione di uno “stato di paura”. Come in passato, non possiamo non prendere in considerazione che la tutela della salute possa essere anche strumentalizzata e utilizzata per imporre limitazioni della libertà, abituando i cittadini a restrizioni sempre più invasive della libertà e della privacy.
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