CORONAVIRUS: intervista a Luca D'Auria
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In queste giornate di quarantena forzata si discute non solo delle ricadute mediche, giuridiche ed economiche per l’emergenza da Coronavirus, ma anche di come è inevitabilmente cambiata la nostra società dal punto di vista antropologico e sociale. Partendo da qui, l'avvocato Luca D’Auria analizza nel libro CORONAVIRUS. IL NEMICO INVISIBILE, come sta mutando la nostra vita, schiacciata sotto il peso dell’emergenza e dell’autoisolamento.
Redazione Web Macro
Avv. D’Auria, ci spiega come è nata l’idea di questo libro?
È nata guardando il mondo a prescindere dalla malattia del coronavirus ma pienamente immerso in questa realtà. Mi spiego: l’allarme medico è una questione serissima, drammatica che, inutile dirlo, tutti ci auguriamo che duri il meno possibile; ma l’idea di un libro sull’epoca del coronavirus è nata proprio per provare a superare il dibattito medico e gettare uno sguardo antropologico, filosofico, giuridico e sociale al mondo che ci troviamo dinnanzi.
La fonte d’ispirazione è stata il più grande scrittore milanese di tutti i tempi: Alessandro Manzoni. Ne I Promessi Sposi e ancora di più ne La Storia della Colonna Infame ha saputo costruire due grandi testi di sociologia e diritto, raccontando la Milano del Seicento e della peste facendo di quell’epidemia lo sfondo per tracciare la società con le sue caratteristiche più tipiche.
L’antropologia e in particolare la filosofia debbono riscoprire il gusto di essere lette per dare alla gente uno sguardo della realtà. Nei momenti più difficili, come quello che stiamo attraversando, è ancora più importante che circolino le idee. È necessario per non lasciare il cervello della gente nel calcolo tecnico-medico della conta delle vittime, dei contagiati, dei guariti e dei potenziali asintomatici. La filosofia, l’antropologia e la sociologia devono tornare a spiegare quale rotta ha intrapreso il mondo e non avvitarsi nell’analisi complicata e vagamente autoreferenziale che è tipica della speculazione universitaria e dotta.
È dunque nata così l’idea del libro: una sorta di Storia della Colonna Infame del XXI Secolo.
Ciò di cui si discute in queste giornate di quarantena forzata è anche cosa resterà, dal punto di vista antropologico e sociale di questa emergenza sanitaria: com’è cambiata la nostra vita?
Si può affermare senza essere smentiti che tutto il testo è una simulazione mentale di cos’è e cosa sta diventando il mondo. Questa è la prospettiva filosofica del testo. Se Alessandro Manzoni è l’ispiratore per scrivere un testo che sia un po' sociologico, un po' giuridico ed un po' antropologico, senza però entrare nei tecnicismi delle singole scienze umane ma facendo emergere le questioni ad esse sottese guardando al mondo della pandemia, viene da dire che il lato più filosofico consiste proprio nell’esperimento mentale di immaginare il mondo del dopo coronavirus.
I paradossi, i giochi e gli esperimenti mentali sono uno degli ingredienti classici della filosofia ed oggi addirittura il criterio intorno al quale all’Università Statale di Milano è stato creato il Museo della Filosofia. Attraverso una serie di sfide mentali il visitatore si trova a sperimentare la filosofia stessa ed i suoi concetti più profondi. È lo scopo del libro. Probabilmente quello più profondo. La verità per gli ateniesi del V Secolo avanti Cristo era il disvelamento, l’alètheia. L’esperimento mentale di questo libro è provare a togliere il velo ad una verità che potrebbe aver cambiato tutti i parametri in base ai quali viviamo, interpretiamo e, in una parola, abitiamo il mondo.
Qual è a suo avviso il vero cambiamento? E dunque, quale esperimento mentale dobbiamo compiere per leggere il mondo dell’epoca del coronavirus e del dopo coronavirus?
Fino alla diffusione di questa pandemia eravamo abituati a considerare l’Occidente come una grande storia unitaria, con dei tratti comuni fondamentali la cui caratteristica di base è stata, per la prima volta, disvelata dal grande trittico di filosofi della classicità: Socrate, Platone e Aristotele. Il timbro magico degli uomini dell’Occidente l’ha scolpito Aristotele ma è indubbiamente il prodotto del pensiero di tutti e tre gli ateniesi: l’uomo è un animale sociale. Ecco, all’interno di questo vero e proprio statuto dell’uomo occidentale, si è poi suddivisa la storia in antichità, medio evo, modernità e contemporaneità. La questione posta dal libro è la seguente: è finita l’epoca dell’uomo animale sociale e politico e dunque si chiude il mondo nato ai tempi di Socrate, Platone e Aristotele e se ne apre un altro. Quello dell’uomo animale virtuale.
Ma attenzione: non si tratta di una rivoluzione nata dal caso o dalla pandemia che ci costringe a casa. È qualcosa di preparato nei decenni. È il frutto dell’epoca del trionfo della tecnica ma, anche in questo caso, una tecnica radicalmente diversa da quella che ha caratterizzato l’uomo animale sociale. Quella era tutta volta a conquistare il mondo, sottoporlo alla volontà di potenza dell’uomo e della sua vanità di espandere il proprio potere senza conoscere limiti. I due simboli della tecnica dell’uomo animale sociale sono la ruota e il Lem con il quale gli astronauti sono sbarcati sulla luna nel 1969.
Il primo simbolo del nuovo paradigma umano è qualcosa di opposto: sono i social network come Facebook e Instagram. Questi non hanno nulla di esterno rispetto alla bolla individuale di ciascuno. È totalmente virtuale e immaginifico il mondo sociale dei social network. Possiamo dire che siano qualcosa di paragonabile alla ruota per l’uomo animale sociale. Sono la porta per il virtuale.
Se osiamo guardare il mondo da questa nuova ottica, scopriamo che il coronavirus è stato qualcosa di molto simile ad una, seppur tragica, occasione per far uscire allo scoperto una realtà, quella dell’uomo animale virtuale, che nei decenni passati era trattata come un gioco, una distrazione, una piacevole vanità. In realtà stava preparando la prima grande svolta dell’essere umano, quella da cui non sarà più possibile tornare indietro.
Non c’è neppure da stupirsi che ciò sia accaduto a seguito di una tragedia: è solo un evento traumatico ad essere realmente in grado di modificare i paradigmi più consolidati. Le professioni, i rapporti sociali, i sentimenti, la scuola, la formazione, la giustizia e persino le grandi riunioni sociali stanno sviluppandosi e riqualificandosi in chiave virtuale. Ieri per divertimento, oggi, in tempo di coronavirus per necessità, domani per destino dell’uomo della tecnica. Questo è ciò che resterà nel dopo coronavirus.
Siamo davanti ad un mondo tutto da scrivere. E questo, con la chiave di lettura dell’uomo animale sociale virtuale che ha sostituito l’uomo animale sociale, è il grande esperimento mentale filosofico che siamo chiamati a fare. Senza troppa nostalgia per il passato, quello che non ritornerà più come prima.
Che cosa pensa di quello al modello Conte per il contenimento della pandemia e che potremmo confrontare al modello più fatalista di Boris Johnson?
Anche con riferimento a questo tema se ci si accontenta di ragionare con gli schemi passati si fa un grosso errore. La pandemia pare che necessiti l’isolamento in quanto non si conosce scientificamente questa malattia e dunque non ci sono cure e l’unica scelta per evitare il contagio è limitare il più possibile i contatti umani.
Boris Johnson sembra dirci: "Non possiamo però bloccare la macchina occidentale. La nostra macchina vive di socialità e di scambi economici. Attenti: se fate questo affondiamo". Il Premier britannico, ma non solo lui, sembra metterci in guardia: se accettiamo questo congelamento rischiamo una fine più grave rispetto ad accettare delle perdite umane che, comunque, dobbiamo subire.
Io proverei, ancora una volta, a superare questa dicotomia, tipica dell’uomo animale sociale. Mettiamo in pratica il nostro esperimento mentale. Se l’uomo è divenuto un animale sociale virtuale, l’isolamento è la cifra fondativa del suo essere. I percorsi neurali che caratterizzano l’uomo contemporaneo , quello della pandemia da social network, non lasciano scampo: la bolla è la metafora dell’esistenza. La bolla è il mondo idealistico e neurale di ciascuno, quello attraverso cui viene letto il mondo. L’uomo animale sociale riteneva di dover trovare ispirazione dai propri sogni per cambiare il mondo. L’uomo animale virtuale ha compreso che il mondo reale conta poco o nulla. La bolla neurale di ciascuno deve proiettarsi nel virtuale e solamente così può realmente costruire una realtà idealistica dei sogni. Il virtuale è la piazza, il campo da gioco e il mondo “vero” dell’uomo animale virtuale. È quello in cui il virtuale è ancora più bello e seducente del reale.
E allora mi pare evidente che la scelta è dettata da altro rispetto all’agire politico dei politici. La virtualità suggerisce l’isolamento perché presuppone l’isolamento.
Diversi pensatori stanno sollevando dubbi e critiche sul decreto parlando di “area grigia”. Che cosa ne pensa?
Mi rendo perfettamente conto della questione sottesa ai decreti che ci obbligano a casa. Di area grigia parla Giorgio Agamben con riferimento a quelle situazioni in cui si crea una sovrapposizione tra bene e male, tra diritto e limiti dell’agire. Nella zona grigia non esiste la giustizia come dike (secondo il lessico della Grecia antica) il che presuppone la hybris come limite da non superare e quindi come tracotanza, superamento del limite e dunque ingiustizia.
È evidente per tutti che questo rapporto tra giustizia e limite presuppone un mondo di realtà materiale e dunque vuole l’essere umano come animale sociale. Se l’uomo è divenuto un animale virtuale anche questi concetti devono essere totalmente rivisitati perché l’area grigia può essere una caratteristica normale di questo ambiente virtuale.
Mi spiego meglio, attraverso un esempio del libro: non è dato sapere se, in tempo di quarantena, sia possibile andare a passeggio, o meglio, a correre per le vie della città deserte. I tanti runners della Milano assolata e vuota non riescono a trattenersi e saltellano come gazzelle per la città, fotografandosi per poi riversare le loro immagini sorridenti sui social network. Ecco: il rapporto tra dike e hybris e dunque il comune rapporto tra diritto e limite non regge più. 7
È necessario utilizzare dei nuovi parametri, anche a costo di vivere nell’area grigia. Verrebbe da dire, proprio per vivere l’area grigia, che è destino dell’uomo animale virtuale. Anche l’uomo animale virtuale può trovare nella sapienza della Grecia antica i parametri su cui fondare la nuova realtà etica. La chiave sta in un termine che va oltre la materialità tra diritto e limite: la sophrosune.
Per sophrosune s’intende qualcosa di incredibilmente attuale e che è riassunto nel libro di un grande neuroscienziato, Patricia Churchland. L’autrice parla di etica come “neurobiologia della morale” e spiegando che il diritto (quello di dike e di hybris) non ha senso se non trova terreno fertile nel percorso neurale della bolla di ciascuno.
In poche parole: la legge ha un impatto solo se l’educazione del singolo ha costruito un percorso cerebrale biologico che è idoneo ad accogliere la regola. Ancora più chiaramente: noi siamo il nostro cervello ed il diritto non può nulla se manca la sophrosune e cioè la neurobiologia della morale. È un altro concetto nuovissimo anche se affonda le sue radici nell’antichità più classica. È la magia del mondo greco antico che è ancora capace di dettare la linea ai giorni nostri.
Persino il Viminale sarebbe dubbioso in merito al tracciamento dei contagiati e dei loro contatti in Lombardia. Si è infatti creato un precedente che va valutato a fondo e che porta a conseguenze che non possiamo ancora prevedere.
Che cosa prevede per il futuro?
Prevedo che il futuro non si porrà questo problema perché non solamente saremo tutti tracciati ma avremo degli strumenti estesi del nostro cervello che saranno in grado di schedare chi ci sta di fronte in ragione del suo profilo sociale virtuale. Svariati film raccontano questo mondo con i caratteri di un disegno distopico e avvenieristico. Ma vorrei sottolineare come, nella quotidianità delle indagini di polizia, questa sia già una realtà.
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