La medicalizzazione delle nostre esistenze: farmaci, vaccini, interessi
Attualità e Informazione libera
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Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un proliferare di campagne mediatiche condotte ad hoc per indirizzare l'opinione pubblica verso una spinta medicalizzazione e al consumo di determinati farmaci, vaccini o test diagnostici di cosiddetta prevenzione. A fronte delle campane suonate a martello che gridano al pericolo di questa o quella malattia, sono ormai assolutamente “trasparenti” e di pubblico dominio le dinamiche puramente economiche che regolano queste operazioni di marketing aggressivo da parte delle azienda farmaceutiche.
Redazione Scienza e Conoscenza
Se la “medicina dell'informazione” è il massimo esempio di comunicazione in un sistema societario biologico (quello delle cellule dell'organismo umano), viceversa, “l'informazione in medicina” costituisce l'esempio tipico non proprio edificante del mancato funzionamento di tale scambio di notizie. L'informazione (o meglio la disinformazione) sanitaria è un Moloch ormai manifesto che gestisce un sistema nevralgico dell'organismo società in modo poco corretto e sotto il peso delle lobby economiche e dei poteri forti.
Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un proliferare di campagne mediatiche condotte ad hoc per indirizzare l'opinione pubblica verso il consumo di determinati farmaci, vaccini o test diagnostici di cosiddetta prevenzione. A fronte delle campane suonate a martello che gridano al pericolo di questa o quella malattia, sono ormai assolutamente “trasparenti” e di pubblico dominio le dinamiche puramente economiche che regolano queste operazioni di marketing aggressivo da parte delle azienda farmaceutiche.
Il nocciolo della questione sta, infatti, nella relazione medici e istituzioni sanitarie da un lato e case farmaceutiche dall'altro. La professione medica dovrebbe essere svincolata da input di origine economica e da interessi di sorta.
Salute: una questione di marketing
Le industrie di farmaci investono più in marketing che in ricerca e tendono inesorabilmente a occultare i risultati delle ricerche se non a pilotarli direttamente. Il caso del Vioxx, il farmaco antidolorifico ritirato dal mercato per i suoi devastanti effetti collaterali, occultati per anni dall'azienda produttrice, è un caso emblematico del prevalere della sete di denaro sull'etica medica. Ma ce ne sono molti altri: come Zyprexa, psicofarmaco per il quale la casa produttrice Eli Lilly è stata condannata a vari risarcimenti miliardari (per prescrizioni off label ed effetti collaterali del farmaco come induzione di pensieri suicidi e diabete).
Il settore della sanità è uno dei settori economici più importanti al mondo. La Fortune 500 List, l'elenco delle 500 maggiori aziende economiche del mondo, ha riportato che nel 2002 il volume di incassi delle 10 maggiori aziende farmaceutiche superava quello delle altre 490 imprese della lista.
Nel 2004, i guadagni di una sola compagnia, la Pfizer, furono di 11 miliardi di dollari. Nell'ultimo trimestre del 2009 la Novartis, che produce tra gli altri farmaci il vaccino contro l'influenza di tipo A, ha guadagnato il 54% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente (2,32 miliardi di dollari) (1). Incassi di questo tipo non possono che generare un potere che va oltre quello che è comprensibile affidare a un'impresa economica in un paese cosiddetto democratico.
I farmaci “me too”
I guadagni smisurati sono spesso motivati con costi eccessivi, dovuti secondo le aziende stesse, agli investimenti per lo sviluppo di nuovi farmaci. Ma anche queste sono informazioni false. Solo il 14% delle entrare annue di un'azienda farmaceutica viene reinvestito nella ricerca. Nel marketing invece si investe ben il 30,8% (2). Le aziende sono quindi più interessate a vendere quello che hanno (qualsiasi cosa sia, vedi Vioxx) che a scoprire o migliorare nuovi farmaci.
Più che su nuovi medicinali la produzione delle case farmaceutiche si concentra sui farmaci cosiddetti “me too”, ossia molecole già disponibili sul mercato e di cui si ha la pretesa di proporne una versione migliorata. Questi farmaci in realtà sono solo una fonte più sicura di business. L'industria del settore non è per nulla innovativa come vogliono farci credere. Secondo Marcia Angell, medico ed ex direttrice del New England Journal of Medicine, una delle riviste mediche più prestigiose al mondo, i farmaci “me too” sono il 77% dei farmaci approvati annualmente ed è stato dimostrato che solo il 14% di essi significa un miglioramento effettivo nel trattamento (3).
Per straordinario che possa sembrare, negli ultimi anni sono apparsi sul mercato pochissimi farmaci importanti e di nuova concezione ed essi sono tutti provenienti da ricerche realizzate nelle università, presso piccole compagnie biotecnologiche e centri pubblici di ricerca come i National Institutes of Health statunitensi (4).
Informatori scientifici del farmaco o scaltri venditori?
Il sistema si regge quindi sulla complicità cosciente o inconsapevole dei medici. I medicinali vengono proposti negli studi medici dagli informatori scientifici inviati dalle multinazionali del farmaco con capillare copertura. Le campagne di promozione sono mirate precipuamente al personale medico e paramedico, dato che le compagnie sono consapevoli che tutto parte dalle prescrizioni delle ricette e dal passaparola tra i pazienti sui medicinali più “in voga” che il medico affermato di turno prescrive e consiglia.
Per accattivarsi le simpatie e la disponibilità cerebrale dei medici, le industrie produttrici organizzano per loro congressi e corsi di aggiornamento e riversano sul personale sanitario premi e privilegi di varia natura che possono andare da penne e oggetti di valore a viaggi, vacanze o compensi in denaro (5).
Il fenomeno è gigantesco, è risaputo anche dall'uomo della strada e lo hanno affrontato varie riviste mediche importanti come il British Medical Journal. Tuttavia il meccanismo disinformante continua a proliferare e il sistema di produzione e vendita dei farmaci non muta. Come è possibile?
L’approvazione dei farmaci: come funziona?
Sicuramente una delle cause a monte sta nella procedura di approvazione dei farmaci stessi a livello governativo e internazionale.
Negli Stati Uniti vengono approvati molti farmaci delle grandi aziende “della salute” che poi invadono i mercati mondiali. L'ente federale di approvazione di questi farmaci è la Food and Drug Administration (FDA). Nel 1992 negli Usa è stata approvata una legge, il Prescription Drug User Fee Act, che mette l'FDA sul libro paga delle industrie farmaceutiche. Essa infatti autorizza tali industrie a pagare delle user fees per accelerare l'approvazione dei farmaci. Le cifre versate dalle multinazionali del farmaco hanno negli anni raggiunto la metà delle entrate effettive dell'FDA, con la dipendenza di quest'ultima dalle prime che possiamo immaginare (6).
A partire dal 2005 queste entrate ammontano a circa 260 milioni di dollari l'anno (7). Dall'istituzione di questa legge l'FDA ha implementato il personale addetto alle procedure di approvazione dei farmaci di circa un migliaio di unità. Metà dei dipendenti complessivi dell'FDA è costituito da questo personale pagato dalle industrie (8).
Eppure è risaputo che la velocizzazione dell'approvazione di una molecola solitamente comporta maggiori errori e una possibilità maggiore che farmaci pericolosi raggiungano il mercato. In effetti nel decennio successivo al Prescription Drug User Fee Act sono stati ritirati negli USA ben 13 farmaci, una cifra record, e tuttavia solo dopo aver causato centinaia di morti (9).
La vicenda successiva del Vioxx è notoriamente peggiore. Il Vioxx (Rofecoxib), noto farmaco antinfiammatorio ritirato nel 2004, avrebbe causato 27.785 morti per infarto del miocardio solo negli Usa. E un articolo comparso sul The New England Journal of Medicine, afferma che questa caratteristica iatrogena non è esclusiva di questo medicinale, ma dell'intera classe degli inibitori COX-2, e cioè comprenderebbe anche Celecoxib (Celebrex), Valdecoxib (Bextra) e Parecoxib (Dynastat) (10).
Il caso Avandia: un farmaco per il diabete che fa venire un infarto
Recentemente (2010) si è chiuso anche in Europa il caso di un altro farmaco, Avandia, utilizzato contro il diabete e le cui peripezie sono iniziate negli Usa nel 2007 dopo una denuncia del New England Journal of Medicine. L'Agenzia per il controllo dei farmaci europea (Emea), ha sospeso dal mercato il suddetto medicinale prodotto dalla britannica GlaxoSmithKline a causa dei suoi effetti collaterali sul sistema cardiovascolare (ictus e infarto su tutti).
Alcuni documenti confidenziali dell'FDA pubblicati dal New York Times (11) dimostrano che le agenzie del farmaco statunitensi hanno permesso che la prescrizione di questo medicinale continuasse nonostante i dati preoccupanti di cui ormai disponevano (nel 2006 era uno dei farmaci più venduti al mondo, con un fatturato, in quell'anno, di 2.250 milioni di euro). La compagnia farmaceutica era al corrente di questi rischi sin dal 1999 e aveva fatto di tutto per occultarli. L'FDA aveva calcolato che con la sua sospensione si sarebbero potuti evitare oltre 700 attacchi di cuore al mese.
Dopo tre anni dalla denuncia si è arrivati in Europa alla sospensione di Avandia (così come pure in Italia a quella dei farmaci simili a base di rosiglitazone Avandamet e Avaglim) ma negli Usa è ancora in vendita, seppur solo in determinati e specifici casi.
Una meta-analisi pubblicata dal British Medical Journal nel 2010 che ha preso in considerazione più di 200 studi sulla correlazione tra Avandia e rischio cardiovascolare (12) ha riscontrato che il 94% dei ricercatori che si sono espressi favorevolmente sul farmaco aveva legami economici con industrie farmaceutiche produttrici di farmaci per il diabete e l'87%, in special modo, con la GlaxoSmithKline. Analogamente, su 29 articoli contrari all'utilizzo di Avandia, e che raccomandavano il farmaco rivale Actos della Eli Lilly, 25 sono risultati scritti da autori che avevano relazioni economiche con questa compagnia...
AAA nuove patologie cercasi
Un altro aspetto deleterio dell'informazione in medicina è quello della creazione dal nulla di nuove patologie o dell'ampliamento del numero di malati di un determinato disturbo, semplicemente ritoccando i valori che determinano la classificazione come tali.
Ad esempio, il mercato dei farmaci per l'ipertensione ha avuto un ampliamento notevole dopo che gli esperti del settore hanno cambiato la definizione di alta pressione sanguigna. Per anni, il valore fissato che stabiliva l'ingresso nella patologia era quello superiore a 140/90. I ricercatori in questione stabilirono che però, a partire da quel momento, i valori compresi tra 120/90 e 140/90 caratterizzavano una sindrome pre-ipertensiva per cui milioni di persone nel mondo si sono ritrovate dall'oggi al domani a fare parte dei pazienti affetti da malattie cardio-vascolari (13).
La stessa cosa è accaduta con il tasso di colesterolo nel sangue. Un tempo veniva definito colesterolo “alto” (patologico) un valore dello stesso nel sangue superiore ai 280 mg per decilitro. In seguito, questo valore è stato abbassato a 240 mg e a partire dal 2005 si sta cercando di ridurlo a 200 (14). E quando l'incremento di nuovi pazienti non basta, si possono anche inventare di sana pianta della malattie, così come è stato fatto per la menopausa e conseguente più che redditizio trattamento ormonale sostitutivo cui sono state sottoposte negli anni centinaia di milioni di donne.
Il Britsh Medical Journal ha pubblicato nel 2002 (15) i risultati di un sondaggio rivolto ai propri lettori su quali siano quei disturbi dell'organismo che non dovrebbero essere considerati come malattie. L'elenco che ne è derivato è stato fortemente attaccato dalle multinazionali del farmaco, dagli specialisti e dalle associazioni dei familiari e “pazienti” di tali “sindromi” che si sono visti decurtare una fetta di potere non indifferente.
In questo elenco di “non disease”, figurano, tra gli altri, stati fisiologici umanamente plausibili (e non patologici) molto diffusi come calvizie, osteoporosi, cellulite, menopausa, sindrome del colon irritabile, abbassamento del livello di testosterone (dovuto all'età), disfunzione erettile, ansia determinata dalla dimensione del pene, gravidanza, invecchiamento ecc.
Farmaci per persone sane: la medicalizzazione dell’esistenza
La medicalizzazione di tutti gli aspetti dell'esistenza è l'obiettivo massimo dell'amministratore delegato di qualsiasi azienda farmaceutica. L'ha scolpito sulla pietra in modo chiaro e candidamente sfacciato già trent'anni fa Henry Gadsden, ex direttore della Merck, una delle più grandi società farmaceutiche del mondo, affermando sulla rivista Fortune che il suo sogno era produrre per le persone sane, così da poter vendere farmaci in tutto il mondo e a tutti.
Questo è oggi il concetto di “sanità pubblica” che è divenuto prassi e realtà. Oggigiorno sono ritenuti pericolose minacce per la salute sia disturbi fisiologici comprensibili come lieve ipercolesterolemia, osteoporosi nella donna, sindrome premestruale, dolori legati all'invecchiamento, diminuzione della libido femminile, ma anche stati d'animo imprescindibili dalla condizione umana come tristezza, timidezza, manifestazioni del lutto, solitudine ecc.
Ray Moynihan, giornalista e autore di vari libri sulla nocività dei farmaci e la creazione di malattie fittizie, sostiene che le persone hanno il diritto di essere informate sulle discussioni scientifiche che riguardano il concetto e la definizione di malattia, nonché sul corso naturale relativamente benigno di molte di queste condizioni forzatamente definite patologiche. Moynihan rivendica la necessità di un programma pubblico e indipendente di demedicalizzazione non basato sugli interessi degli azionisti delle industrie farmaceutiche o sull'arroganza degli specialisti e dei professionisti della classe medica ma sulla dignità umana (16).
Medicinali come merci: un’equazione pericolosa
Di fronte alla prepotente e dilagante sfrontatezza delle multinazionali del farmaco i cittadini comuni sono dunque oggi piuttosto indifesi.
Il problema è fortemente legato alla concezione di farmaco che andrebbe rivista. Il medicinale non potrebbe e non dovrebbe essere considerato un bene di consumo. Gli interessi dei produttori in questo caso (come in altri del resto) non coincidono nemmeno lontanamente con quelli dei consumatori di tali “merci”.
La salute dovrebbe sottostare a un rigido regolamento formulato su base etica e autogestito dai pazienti stessi, o dalle loro associazioni, in collaborazione con enti di ricerca indipendenti e università. Tutti gli aspetti di cui abbiamo parlato, per non contare altri che abbiamo tralasciato – come la sponsorizzazione della ricerca di tipo monopolistico da parte delle aziende farmaceutiche, la pubblicità ingannevole dei farmaci sui media, la pubblicazione pilotata degli studi sulle riviste scientifiche, la falsificazione dei dati delle ricerche e altri aspetti inquietanti ancora – dovrebbero scomparire dalla faccia della terra. Senza se e senza ma.
Inoltre, il sapere e le risorse in ambito sanitario andrebbero condivisi tra tutti i popoli dell'umanità. Non è un particolare di poco conto il fatto che il 25% della popolazione mondiale consuma l'80% dei farmaci esistenti (17). In Occidente ci saranno ovviamente molti sprechi e abuso di farmaci, ma non è neanche giusto che in altre parti del mondo si muoia ancora perché non ci sono strutture ospedaliere per la medicina d'urgenza o che non ci siano soldi per investire in ricerca sulle malattie tropicali, che imperversano mortiferamente in intere regioni.
Diritto ai farmaci e diritto all’informazione
L'accesso ai farmaci (quelli veri, utili ed efficaci) dovrebbe essere un diritto garantito a tutti perché è un diritto fondamentale dell'essere umano. Tale diritto va di vari passo con il diritto all'informazione in medicina (18). Dovrebbero essere noti a tutti i meccanismi di ideazione, produzione e messa in commercio dei medicinali.
Dovrebbero essere noti a tutti e pubblicizzati nelle apposite sedi, istituzionali e non, i pro e i contro dell'eccessiva medicalizzazione e la possibilità di utilizzare quando possibile rimedi meno invalidanti come quelli delle medicine tradizionali e delle cosiddette non convenzionali per non parlare del buon uso preventivo e curativo delle diete.
Infine, dovrebbe essere fatto un passo in avanti nell'accettazione della dimensione umana di fronte agli eventi importanti e inevitabili dell'esistenza, malattie e disgrazie esistenziali comprese, che non andrebbero affrontate dai medici prescrivendo psicofarmaci che mandano “in vacanza” la mente e le emozioni, ma abbassandosi al livello dei sofferenti e rimanendo al loro fianco, fornendo loro tutta la comprensione e l'appoggio psicologico e relazionale di cui abbisognano.
La sofferenza più grande al cui rischio siano ormai tutti esposti è quella della constatazione dell'estinzione dell'umanità tra gli umani. Che potrebbe essere classificata e diagnosticata come una nuova malattia...
Questo articolo è stato pubblicato per gentile concessione della rivista Scienza e Conoscenza
Fonte originale: Scienza e Conoscenza n.37 - Autore: Valerio Pignatta
Note
(1) Pierson, Ransdell e Krauskopf, Lewis, “J&J results top views but forecast weighs”, Agenzia Reuters, 26 gennaio 2010. Cfr. http://www.reuters.com/article/2010/01/26/us-johnsonandjohnson-idUSTRE60P3DK20100126.
(2) Brody, Howard, Hooked. Ethics, the medical profession and the pharmaceutical industry, Rowman & Littlefield Publishers, Plymouth UK, 2008, p. 87.
(3) Angell, Marcia, Farma & Co. Industria farmaceutica: storie straordinarie di ordinaria corruzione, Il Saggiatore, Milano, pp. 79-80.
(4) Angell, Marcia, “Health policy, pharmacy and pharmacology talks at Winsconsin School of Medicine and Public Health”, 2007. Cfr. http://videos.med.wisc.edu/videoInfo.php?videoid=940/.
(5) Martín, Moreno S., “Ética de la prescripción. Conflictos del médico con el paciente, la entidad gestora y la industria farmacéutica”, in Medicina Clínica, vol.116, n. 8, 2001, pp. 299-306. Cfr. http://www.elsevier.es/es/revistas/medicina-clinica-2/etica-prescripcion-conflictos-medico-paciente-entidad-gestora-15291-articulos-especiales-2001.
(6) Angell, Marcia, Farma & Co, cit., p. 172.
(7) Loc. cit.
(8) Loc. cit.
(9) Loc. cit.
(10) Solomon, S.., McMurray, J., Pfeffer, M., Wittes, J., Fowler, R., Finn, P., Anderson, W., Zauber, A. et al., “Cardiovascular risk associated with celecoxib in a clinical trial for colorectal adenoma prevention” in The New England Journal of Medicine, vol. 352 (11), 2005, pp. 1071–1080.
(11) Gardiner, Harris, “Research ties diabetes drug to heart woes”, in The New York Times, 19 febbraio 2010.
(12) Wang, A.T., McCoy, Christopher P. et al., “Association between industry affiliation and position on cardiovascular risk with rosiglitazone: cross sectional systematic review”, in British Medical Journal, vol. 340, 18 marzo 2010, p. c1344. Cfr. http://www.bmj.com/content/340/bmj.c1344.full.
(13) Grady, Denise, “US Guidelines are reassessing blood pressure”, in New York Times, 15 maggio 2003, p. A1.
(14) Angell, Marcia, Farma & Co, cit. p. 87.
(15) Smith, Richard, (editor), “In search of 'non-disease'”, in British Medical Journal, vol. 324, 2002, p. 883. Cfr. http://www.bmj.com/cgi/content/extract/324/7342/883.
(16) Moynihan, Ray, “Selling sickness: the pharmaceutical industry and disease mongering”, in British Medical Journal, vol. 324, 2002, pp. 886–891. Cfr. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1122833/?tool=pubmed.
(17) Benkimoun, Paul, Morti senza ricetta. La salute come merce, Elèuthera, Milano, 2002, p. 29.
(18) Si veda l'interessante dossier sul tema messo a punto dalla redazione di Periodismo Humano alla pagina http://periodismohumano.com/temas/farmaceuticas-razones-para-el-escepticismo. Periodismo Humano è un sito di informazione senza scopo di lucro nato nel 2010 e sta a metà strada tra la cooperativa e la fondazione. È diretto da Javier Bauluz, premio Pulitzer per il giornalismo nel 1995.