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Uscire dalla crisi seguendo la scia della rivoluzione islandese. Intervista ad Andrea Degl'Innocenti

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Uscire dalla crisi seguendo la scia della rivoluzione islandese. Intervista ad Andrea Degl'Innocenti

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Uscire dalla crisi seguendo la scia della rivoluzione islandese. Intervista ad Andrea Degl'Innocenti

In un periodo come questo, in cui le cose in Italia vanno così male che spesso è difficile anche per i più informati raccapezzarsi nel labirinto di problemi politico economici che l’informazione di massa ci propina, perché mai dovremmo interessarci a un libro che parla dei problemi di un’altra nazione? Non ne abbiamo a sufficienza dei nostri?


Redazione Web Macro

Giornalista e attivista classe 1984. Appassionato di ambiente, economia e società, vicino ai movimenti per l’acqua e per i beni comuni, ha collaborato con il giornale online Terranauta.it ed in seguito con ilCambiamento.it. Da oltre due anni segue da vicino le vicende islandesi e mantiene contatti costanti con alcuni attivisti locali. Nella primavera del 2012 ha trascorso circa un mese in sull’isola per documentarsi e conoscere da vicino i protagonisti delle storie di cui si occupa. Da questa esperienza è nato il libro Islanda chiama Italia che affronta la vicenda islandese in tutte le sue sfaccettature, conosciute e non.

In un periodo come questo, in cui le cose in Italia vanno così male che spesso è difficile anche per i più informati raccapezzarsi nel labirinto di problemi politico economici che l’informazione di massa ci propina, perché mai dovremmo interessarci a un libro che parla dei problemi di un’altra nazione? Non ne abbiamo a sufficienza dei nostri?

Ce lo siamo chiesti noi, come immaginiamo ve lo starete chiedendo voi. Dunque, per soddisfare la nostra e la vostra curiosità, l’abbiamo chiesto direttamente all’autore.

Andrea, come e quando nasce il tuo insolito e originale interesse per il mondo islandese?

Un po’ per caso a dire il vero. Circa due anni e mezzo fa mi arrivò un’e-mail da un amico spagnolo che mi informava su quella che veniva definita la “rivoluzione silenziosa” islandese. Mi diceva che gli islandesi avevano cacciato i propri politici, che avevano rifiutato un debito ingiusto contratto da banche private e ripubblicizzato le banche stesse, che avevano incarcerato i banchieri e scritto una nuova costituzione partecipata. Il tutto senza che nessun media ne avesse parlato. Chi non ne sarebbe rimasto incuriosito? Così mi documentai (soprattutto traducendo articoli e studi dall’inglese, in italiano c’era ben poco), scrissi degli articoli, infine decisi di partire per andare a vedere con i miei occhi e farmi raccontare dai protagonosti come erano andate veramente le cose.

Temo che in confronto a te siamo in tanti a essere ignoranti sull’argomento. L’Islanda non è un paese di cui si sente spesso parlare, anzi. Ci si dimentica che esiste a volte. Giusto per fare il punto, qual è al momento la situazione socio-politica in Islanda?

L’Islanda viene da alcuni anni di crisi economica, cui è seguita una forte sollevazione popolare. Anche grazie al rifiuto delle politiche di austerità e del pagamento del debito, il paese ha superato velocemente la fase più critica. Tuttavia la kreppa (termine islandese per crisi) è stata occasione per riscoprire aspetti delle proprie tradizioni che erano andati persi negli anni del neoliberismo sfrenato, quando gli islandesi si erano trasformati da pescatori in broker. Forse l’Islanda è oggi un paese un po’ meno ricco, ma gli islandesi sono tornati a essere un po’ più islandesi!

Quello italiano pare sia un popolo più televisivo che “libresco”. In quest’ottica di scarsa passione per la lettura, leggera o impegnata che sia, perché mai credi che “l’italiano medio” dovrebbe comprare un libro che parla addirittura di un’altra nazione?

Perché quanto è accaduto in Islanda ha molto a che fare con quello che sta accadendo qui da noi. Siamo al paradosso per cui una crisi causata da un eccessivo ricorso al mercato viene curata con ancora più mercato. E a risentirne ovviamente è una sempre più ampia fascia povera della popolazione. In Islanda a un certo punto è scattato qualcosa che ha convinto la gente a ribellarsi e a creare delle alternative percorribili. Certo, non saranno le stesse applicabili qui da noi, ma i messaggi che possiamo trarre dalla vicenda islandese, relativi a tematiche come il debito, la sovranità, la partecipazione secondo me hanno una valenza molto più generale. D’altronde il senso dell’intera vicenda è proprio quello che le alternative vanno costruite man mano, partendo dal basso. Solo con uno sforzo consapevole collettivo ci si può riappropriare del diritto di decidere, mentre ogni soluzione preconfezionata è destinata inevitabilmente a fallire.

Ogni nazione ha una propria storia socio-culturale che inevitabilmente contribuisce a plasmare, in modo volontario o involontario, i tratti distintivi dei diversi popoli. Quali sono le caratteristiche specifiche del popolo islandese che a noi italiani mancano?

Gli islandesi mi sono sembrati un popolo molto aperto, disponibile, fiducioso. Una volta mi trovavo assieme al mio amico Marco in un paesino sperduto nei fiordi dell’ovest, lontano da ogni rotta turistica e a circa sei ore dalla prima cittadina. Erano le 22,30 e non avevamo mangiato niente da parecchie ore, ma l’unica taverna del paese era già chiusa. Fermiamo un tizio per strada e gli chiediamo se conosce un posto dove possiamo mettere qualcosa sotto i denti e lui ci risponde “a quest’ora l’unico posto dove potete mangiare qualcosa è casa mia”. E aggiunge “io e la mia famiglia abbiamo già cenato ma ci è rimasto qualcosa. Sono solo avanzi eh, ma a quest’ora non troverete di meglio”. Gli “avanzi” erano, in ordine sparso: una grigliata di carne che sarebbe bastata a dieci persone, patate, insalata, dolce, birra e caffè. Prima di andare via, ci hanno dato persino del merluzzo secco da mangiare durante il viaggio, nel caso ci fosse venuta fame.

Ma forse quello che gli islandesi hanno in più di noi è un legame profondo e complesso con la propria terra e con quella natura bellissima, preponderante, violenta, che scandisce le loro vite, che amano e odiano, di cui si sentono parte integrante. Probabilmente è un caso, ma le ribellioni islandesi hanno coinciso con un’attività sismica particolarmente forte, culminata con l’eruzione del vulcano Eyafjallajokull che ha paralizzato i cieli di mezzo mondo: come se la terra e i suoi abitanti si fossero risvegliati assieme. Noi purtroppo abbiamo in gran parte perso il rapporto con la magnifica terra che abitiamo, la stupriamo ogni giorno cementificando, costruendo, inquinando.

Non che ci piaccia “sparare sulla croce rossa”, ma se proprio dovessi scegliere, quale ritieni che sia il peggior difetto di questa Italia?

L’assenza di speranze. È una cosa che va al di là della crisi: da quando ho ricordi ho sempre sentito parlare del nostro paese come di un luogo senza futuro. È chiaro che questo ammazza sul nascere ogni entusiasmo e volontà di cambiamento. Togliere la speranza ai cittadini, una speranza collettiva intendo, che va al di là delle fortune individuali, è stato il miglior modo per il potere costituito di annientare ogni resistenza. In Italia da anni tiriamo a campare e consideriamo alla stregua di un folle chi si ostina a voler cambiare le cose. Per fortuna però i folli esistono, e sono anche di più di quanti pensiamo.

Tre parole per descrivere la “rivoluzione islandese”

Partecipata, costruttiva, reticolare.

Tre parole per descrivere invece l’attuale situazione politico-economica italiana

Calcarea, ingiusta, stagnante.

Un futuro roseo per questo Belpaese è ad oggi speranza o utopia?

Oggi il futuro appartiene solo a chi se lo costruisce. Lo stato è venuto meno al suo compito fondamentale, ovvero quello di gestire il presente e garantire il futuro dei propri cittadini e si è venduto a dei ricchi padroni di cui attualmente cura in maniera esclusiva gli interessi. Dunque spetta agli stessi cittadini il compito di mettersi assieme, collaborare, creare alternative percorribili. Da questa consapevolezza sono nate realtà bellissime e numerose che operano costantemente sul territorio per creare nuove pratiche e modelli economici, politici, culturali. Quindi esiste un’Italia che si sta costruendo un futuro (si spera roseo), ripartendo dalle fondamenta.

Dall’altro lato invece, per quell’Italia aggrappata al potere e alle poltrone, per l’Italia dei palazzinari e degli speculatori, delle mazzette e degli amici di amici, non vedo alcun futuro. Se si osserva solo l’aspetto esteriore l’Italia è un paese destinato a fallire, un albero stecchito. Ma sotto al vecchio tronco secco ferve una nuova vita. Un vecchio modello deve tramontare per lasciar spazio al cambiamento.

Purtroppo non sarà un passaggio indolore. Il potere è talmente calcificato che non abbandonerà i propri baluardi facilmente e si opporrà con ogni forza al cambiamento. E quando affonderà si porterà con sé nell’abisso una massa di popolazione che senza grosse colpe, per mancanza di consapevolezza, sarà stata incapace di cambiare.

Il passato è già stato, e oltre ad analizzarlo poco altro si può fare. Il presente è quel che è, ed è nostro compito impegnarci fino in fondo per renderlo meglio possibile. Il futuro invece è un punto interrogativo. Chiudiamo in bellezza allora, guardando al futuro. In fondo è l’unico che ci possiamo prendere il lusso di sognare a nostro piacimento. Con lo sguardo lungimirante di chi questa benedetta speranza non vuole proprio perderla, come vede l’Italia e gli italiani tra 10 anni?

Penso che si consumerà una sorta di battaglia nei prossimi anni. Da un lato ci sarà una fetta sempre maggiore di popolazione che deciderà di mettersi in moto per cambiare le cose partendo da se stessi e dal proprio territorio, dal basso; dall’altro lato il potere costituito spingerà dall’alto per soffocare sul nascere questo cambiamento. Un anticipo di questa dinamica l’abbiamo visto con la vicenda dei referendum sull’acqua pubblica: non appena la popolazione ha provato a riappropriarsi nei fatti della propria sovranità e cambiare lo stato delle cose, il potere costituito è uscito allo scoperto e non ha esitato a calpestare la volontà popolare per difendere i propri interessi. Dagli esiti di questa battaglia dipenderà a mio avviso il futuro della nostra società.


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