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Chi giudica il giudice? Uscire dalla dualità e riappropriarci del potere di discernimento

Nuove Scienze

Chi giudica il giudice? Uscire dalla dualità e riappropriarci del potere di discernimento

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Chi giudica il giudice? Uscire dalla dualità e riappropriarci del potere di discernimento

La premessa menzognera, se riusciamo a riappropriarci del nostro potere di discernimento e liberiamo noi stessi e gli altri dalle imposizioni del pensiero che ci sono state fatte dalla religione e dalla nostra cultura convenzionale, è che il Giudice e il Giudicato sono Due. Questo non è possibile perché, se così fosse, qualcuno dovrebbe poter rispondere alla domanda: ma allora, Chi giudica il Giudice?

Con grande saggezza, Vittorio Marchi, nel libro Mirjel, il meraviglioso Uno, riporta l’attenzione sulla questione della dualità in cui viviamo e sollecita la nostra mente a uscire dai dogmi e riprendere la sua funzione: quella di riportare il Tutto alla grande unificazione, dove non esiste bene e male, giudice e giudicato.

A cura della redazione della collana Scienza e Conoscenza


Redazione Web Macro

È la Legge che giudica il Giudice?

Possiamo continuare a rinunciare alla mente per un altro certo numero di millenni appellandoci al prevedibile quanto vago: “È la Legge che giudica il Giudice”? Possiamo escludere ogni altra possibilità? Certamente sì, se ci ancoriamo ai rigidi dogmi. Ciò perché il rigido dogma contribuisce tenacemente alla costruzione del senso di identità di una persona. Ha la poderosa potenzialità di rafforzare vigorosamente il suo senso di sicurezza, e quindi funziona in modo che sia preferibile aderire alle sue lusinghe che affrontare la sfida mentale ed emotiva che comporta il rifiuto di quel dogma.

Ciò che è descritto nel Vecchio Testamento è solo un livello del quadro dogmatico al quale ancora oggi gli esseri umani non sono in grado di sottrarsi. Il solo fatto di accettare l’esempio di Adamo ed Eva, il cui peccato è consistito nella disobbedienza alla sfida fatta all’UNO, divenuto come Uno di Noi (o Molti), tanto da conoscere il Bene e il Male, è la dimostrazione di uno stato di asservimento mentale nei confronti di un sistema di credenze creato da una obsoleta tradizione biblica.

L’evoluzione riguarda l’amore

L’umanità non ha ancora compreso che il problema evolutivo riguarda l’amore, e non il castigo per gli sbagli commessi, per decretare il quale ci vuole un Giudice supremo. Perché qui comincia il processo di appannamento che la gente si fa sul giudizio dell’UNO. Ed ecco che rientra nella fase di preparazione a questa idea una certa confusione circa il significato di giudizio. Chi ha stabilito fin dall’inizio che giudicare significa esercitare la funzione di giudice, in riferimento all’azione di assolvere o di condannare? Chi ha decretato per legge che l’udienza dibattimentale sia l’arena migliore in cui far scontrare pubblicamente di fronte a un giudice, terzo ed estraneo a tutta la vicenda, che poi deciderà se condannare o assolvere? Chi ha deciso che i soggetti principali sono due: l’accusa e la difesa? Non si dice forse in tutte le assise che la Vita è sacra?

Giudicare dovrebbe significare che lo stimolo per la conoscenza dei fatti dovrebbe condurre non a sentenziare e in ultimo a formulare un verdetto pro o contro l’imputato, a causa del reato commesso, ma a comprenderne gli atti compiuti da un individuo che si trova in danno di mente. Persino la legge criminale (in inglese, criminal law, che significa diritto penale) dei nostri giorni ha accettato questo punto di vista e non considera edificante che la persona processata debba essere recuperata con metodi punitivi, a causa della sua debolezza, mancanza o labilità di mente.

Ora, se consideriamo che gli antichi metodi di recupero della Persona vengono messi costantemente sotto accusa da parte dell’establishment giuridico, ecco che il sedativo della mente non funziona più, e si comincia a intravedere che le nostre decisioni non vengono più prese a partire da una dimensione separata dalla Persona del nostro Sé Empirico Universale, ma a un livello molto più alto di quanto pensiamo. Si capisce allora che le nostre azioni non sono, o almeno non sono solo, atti formulati o compiuti in modo individuale, ma attività determinate da un ORGANISMO della nostra potenzialità nel suo essere totale.

Libero arbitrio o determinismo assoluto?

Ecco allora che il Giudizio sulla mal posta alternativa “libero arbitrio o determinismo assoluto?” è presto fatto. Possiamo rapidamente renderci conto che questi nostri atti che irradiano calore emozionale o energia emozionale, non solo appartengono a questo ORGANISMO UNIVERSALE, ma sono altresì determinati dalla costellazione infinita della sua vibrazione, nella sua totalità, e la determinano a loro volta.

Questo è il vero punto della trasformazione dell’UNO. L’Universo e l’Uomo, a sua somiglianza, consistono di cicli di coscienza, che in un certo periodo possono essere espressione di calamità, mostruosità, perversità, cinismo e distruttività e che invece in altre stagioni sono come delle porte di accesso alla produttività, alla creatività, alla genialità e all’amorevolezza.

Le trasformazioni, tuttavia, non sono neutre ed è naturale che si prestino a una qualche valutazione. Ciò non significa che per stabilire il comportamento del nostro Io, che noi chiamiamo anche il nostro Me, non dobbiamo prendere posizione e che quindi non se ne debba giudicare la malvagità o la bontà.

 

Siccome Tutto è Coscienza sotto forme diverse e noi interagiamo con tutti i campi energetici che vibrano in ogni momento della nostra vita e di quella universale, dobbiamo comprendere che a caratterizzare questo nostro giudizio dev’essere il come e il perché l’Universo diviene ciò che è e integrare questo nostro giudizio con il metterci ben fisso nella testa che la faccia dell’Universo (e lo vediamo in tutte le sue manifestazioni della Natura) ha un dritto e un rovescio. E va avanti eternamente così per costruzione e distruzione, movimento intrinseco, circolare, senza il quale non sono possibili né la consumazione né l’assimilazione, come elementi inclusi nell’azione reciproca di rigenerazione continua, del cibo della vita: l’energia.

Tutto abbracciare, nulla escludere!

Una volta fissato questo, dobbiamo guardare quel cocktail di vibrazioni che lo costituiscano non solo in un determinato e specifico momento della sua attuazione, ma osservarlo e giudicarlo in tutti i suoi momenti di trasformazione, indipendentemente da quale possa essere il tipo delle due facce con cui esso si presenta nel mondo fisico a un determinato e preciso istante. Siccome ogni nostra cellula è collegata all’impulso cosmico, possiamo noi considerarci dissimili da LUI, visto che ci troviamo a vivere nelle medesime circostanze tutti i suoi momenti? E se questo giudizio che EGLI va facendo di SE STESSO, non è possibile vederlo compiuto nel primo uomo, lo si potrà definire immaginario o arbitrario solo perché non lo si è ancora visto realizzato nell’ultimo suo aspetto in forma umana e il suo metro non è percepibile dai sensi? Il problema del comprendere (nel senso di tutto abbracciare, senza nulla escludere), rispetto a quello del giudicare dell’Universo, non è diverso da quello del giudicare che si verifica in ogni azione del comportamento umano.

 

 

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