Dott. Stefano Manera: cosa ho imparato lavorando a Bergamo in piena emergenza da Covid-19
Salute e Benessere Naturali
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Stefano Manera è medico chirurgo. Pratica medicina integrata o funzionale e omeopatia classica hahnemanniana. Specializzato in anestesia e rianimazione è stato da subito attratto, nel corso dell'esercizio della professione medica, dalla visione olistica del paziente che lo ha portato a studiare a fondo e a ricercare le cause più profonde delle patologie. Ha prestato servizio volontariamente all'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo durante l'emergenza Covid 19 a marzo e aprile di quest'anno come medico rianimatore. Da questa esperienza ecco cosa ci ha raccontato.
Stefano Manera
Nei mesi di marzo e aprile 2020 ho scelto di lavorare come medico volontario nel reparto di anestesia e rianimazione di un grande ospedale lombardo, reso celebre per essere l'epicentro italiano del COVID. Posso dire di aver avuto l'onore di poter lavorare in quell'ospedale, in quel preciso momento storico, dovendo curare pazienti molto gravi, colpiti da una malattia nuova e molto grave.
Al letto di quei malati e in quei corridoi mi sono spesso chiesto che cosa avessi imparato sulla malattia e sul suo significato negli anni della mia professione come medico clinico. Prima di tutto ho imparato a comprendere il dolore dei pazienti, dei parenti e anche dei curanti. Ho imparato ancora di più quanto sia importante e nel contempo labile il concetto di dignità umana. La dignità è ciò che indica il valore che ogni uomo possiede per il semplice fatto di essere uomo e (soprattutto) di esistere.
Le malattie hanno origini molto profonde
Ho imparato che le malattie hanno origini molto profonde e che i disturbi si manifestano naturalmente con un'ampia gamma e livelli di gravità, non per tutti uguali. Questo concetto estremamente semplice è molto importante poiché lo stato patologico è un continuum di variabilità che origina ben prima rispetto al sintomo. È evidente e riconosciuto che negli ultimi anni l'incidenza delle malattie oncologiche, degenerative e autoimmuni stia aumentando esponenzialmente. Sappiamo molto bene che la vita media si è allungata, tuttavia troppo spesso gli anni in più li trascorriamo assumendo medicine nel tentativo di curare malattie e arginare sintomi.
L'esperienza vissuta nell'ospedale COVID più grande d'Europa ci ha fatto capire, sin dai primi giorni, che questa malattia si accaniva maggiormente su individui compromessi o comunque con un substrato infiammato. Da tempo in Medicina si parla di low grade inflammation ovvero infiammazione cronica di basso grado come ruolo determinante nello sviluppo di un gran numero di malattie.
L'infiammazione cronica di basso grado è una condizione patologica subdola, talvolta occulta per anni, dalle conseguenze importanti e di rilevante insospettata frequenza, spesso accompagnata per molti anni da una serie di disturbi aspecifici e solo funzionali. È noto che l'infiammazione sia un meccanismo di difesa fisiologico del corpo con l'obiettivo di eliminare la causa del danno (della noxa patogena) e la successiva riparazione dei tessuti (restitutio ad integrum). Essa è quindi un meccanismo di protezione necessario tuttavia, il suo persistere diventa una caratteristica comune ad una vasta gamma di disturbi e patologie croniche.
L'infiammazione cronica di basso grado ha diverse cause tra cui:
- stress persistente,
- aumento di peso,
- obesità,
- stile di vita sedentario,
- tipo di nutrizione,
- disbiosi intestinale
- e modificazione dei ritmi circadiani.
È importante comprendere che la genesi di questa condizione patologica, in realtà, sia da ricercare lontano, cioè nello sviluppo dell'uomo e nelle modifiche del suo ambiente naturale, compreso quello sociale e in particolar modo nelle accresciute necessità di reperimento del cibo e relative preparazioni. Da un punto di vista antropologico infatti, l'uomo moderno presenta un genoma pressoché identico a quello posseduto dai nostri antenati di 1,5 milioni di anni fa (homo erectus), tuttavia le condizioni attuali di vita e di alimentazione sono radicalmente cambiate comportando una grande difficoltà di adattamento e un quadro predisponente alle malattie.
Le abitudini sbagliate che ci “infiammano”
Questa è la spiegazione antropologica del problema, quanto mai attuale, dell'infiammazione di basso grado, un problema che si radica molto bene nelle nostre tavole attraverso abitudini sbagliate, ma che vede origini ancora più lontane.
È difficile spiegare l'infiammazione di basso grado senza comprendere il concetto di microbiota e di disbiosi intestinale, ma soprattutto senza comprendere che le nostre malattie si basano su fondamenta già ben costruite nell'infanzia.
Come spiego sempre ai miei pazienti, nella salute di un bambino e quindi di un individuo nei primi 3 mesi di vita impostiamo l'anno e nei primi 3 anni impostiamo la vita stessa. Ormai è molto noto che nell'intestino umano è presente il microbiota intestinale cioè uno degli elementi fondamentali di tutto l'ecosistema intestinale.
Quest'ultimo, infatti, comprende tre componenti: la barriera intestinale, che è un filtro molto selettivo e importante per il benessere dell'intero organismo, una complessa struttura di tipo neuroendocrino oggi chiamata comunemente “secondo cervello” e, infine, il microbiota intestinale che da sempre ci accompagna nell'evoluzione filogenetica.
Il microbiota intestinale è la comunità microbica del tratto enterico rappresentata da un numero di unità cellulari 10 volte maggiore delle cellule del corpo umano e costituita prevalentemente da batteri, lieviti, parassiti e virus. Quando queste comunità vivono in equilibrio vi è una condizione definita di eubiosi.
L'eubiosi è fondamentale perché permette alle varie componenti del microbiota intestinale di essere funzionalmente efficaci, garantendo la salute generale dell'organismo. Un'alterazione dell'equilibrio del microbiota intestinale genera una condizione patologica nota col termine di disbiosi intestinale, le cui cause possono essere molteplici e non sempre di facile riscontro.
La biodiversità dell'ecosistema microbiotico intestinale cresce sempre più nei primi 900 giorni di vita raggiungendo la stessa biodiversità della madre. In questo delicato periodo ogni evento stressogeno può modificare la biodiversità: la prima febbre, l'inserimento delle prime pappe e il primo antibiotico. Nei bambini il genere batterico più rappresentato è quello dei Bifidobacterium appartenenti al phylum Actinobacteria. I Bifidobatteri sono gli amici che regolano il nostro sistema immunitario (soprattutto nell'infanzia) e che offrono le risorse per assimilare il latte materno, vero vaccino naturale, nutrendosi degli oligosaccaridi in esso contenuto. Praticamente i Bifidobatteri ci dicono: io ti offro salute (riduco la tua infiammazione) e in cambio tu mi dai tanti e succulenti oligosaccaridi per farmi replicare e formare una famiglia (colonia) numerosa e sana. Questa si chiama simbiosi ed è una relazione che esiste da sempre.
Capiamo benissimo quindi come ogni interferente esterno che possa determinare infiammazione intestinale (farmaci, alimenti e stress), soprattutto se il bambino è predisposto (familiarità, genetica, radici individuali, costituzione) potrà generare una patologia cronica, andando a ridurre l'essenziale biodiversità microbiotica intestinale. Ecco perché è essenziale ricordare sempre il lunghissimo lavoro evolutivo e le sue motivazioni, favorendo l'allattamento al seno, evitando il più possibile farmaci, offrendo una dieta varia e sana, promuovendo stili di vita che promuovano il benessere e permettano un sano dialogo tra mente e corpo, ovvero tra cervello e intestino. La prevenzione pertanto dovrebbe iniziare sin dai primi giorni di vita del bambino, anzi, già dalla vita intrauterina attraverso uno stile di vita sano da parte della futura mamma.
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