Tutto quello che devi sapere sulla Vitamina D: ruolo, carenza e assunzione
Salute e Benessere Naturali
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La vitamina D è una delle più importanti per il nostro organismo: il suo ruolo è talmente indispensabile per tante funzioni, che gli studiosi hanno finito con il considerarla un ormone. Sebbene venga sintetizzata a partire dal sole e si possa trovare in alcuni alimenti, la sua carenza nella società contemporanea è talmente diffusa che più volte si è parlato di epidemia. E la sua carenza si può manifestare con sintomi diversi e, sul lungo periodo, facilitare la nascita di malattie. Ma sappiamo davvero tutto di questa vitamina? Soram Khalsa ci spiega perché la D è una vitamina fondamentale per prevenire una lunga lista di malattie, nel suo best seller I Poteri Curativi della Vitamina D.
Romina Rossi
Una storia antica
La storia della vitamina D inizia già a partire dal 1600, quando la sua carenza fu collegata allo sviluppo di rachitismo. Da allora, complice il cambiamento sociale che spostò milioni di persone dal lavoro all’aria aperta nei campi al chiuso di una fabbrica, i medici sono sempre stati consapevoli che un basso quantitativo di vitamina D esponeva questi lavoratori al rischio di ammalarsi di questa malattia.
Il rachitismo si manifesta con una ossa deboli, fragili e che si deformano a causa del mancato assorbimento di fosforo e calcio. Era talmente alto l’allarme verso la diffusione del rachitismo che il governo britannico impose che pane e latte fossero arricchiti con dosi di vitamina D.
Con il tempo, l’industria alimentare cominciò a fortificare anche cibi poco salutari dal punto di vista nutrizionale, come hot dog, birra e bibite zuccherate. In questo modo si arrivò sì a sconfiggere il rachitismo, ma un altro pericolo si affacciò alla soglia degli anni Cinquanta del Novecento, legato, questa volta, a un abuso di vitamina D.
Le ditte che producevano latte artificiale, infatti, avevano preso l’abitudine di fortificare i loro prodotti con dosi eccessive di vitamina D, senza tenere conto che anche i cereali erano arricchiti con quantitativi esagerati per compensare la perdita di nutrienti durante lo stoccaggio. Fu questo la causa scatenante di una epidemia di intossicazione di vitamina D che colpì molti bambini inglesi.
Ciò portò, come conseguenza, il divieto di fortificare gli alimenti con vitamina D in tutta Europa, poiché era diventata opinione comune che la vitamina D fosse dannosa ad alte dosi soprattutto per i bambini e che fosse, quindi, da assumere con molta moderazione.
Da vitamina a ormone: il ruolo fondamentale della D
Ma, allora, la vitamina D fa male o no? Quello che il dottor Soram Khalsa afferma, saggiamente, è che in medio stat virtus: “Alla facoltà di medicina mi hanno insegnato a essere molto prudente quando utilizzo la vitamina D e che, essendo liposolubile, è facile riscontrare nei pazienti un sovradosaggio. Il solo reale utilizzo, mi diceva il mio professore, è per le malattie delle ossa e dei reni. Ora tutto è cambiato, ma molti medici moderni e terapeuti continuano a considerare la vitamina D potenzialmente tossica e dannosa, da garantire soltanto attraverso l’esposizione al sole. Rispetto la prudenza, ma occorre anche che i professionisti si aggiornino su questa vitamina essenziale”.
Negli anni Sessanta, infatti, vennero ripresi gli studi su questa vitamina e sul suo ruolo nell’organismo umano. E si fecero scoperte eclatanti: “I ricercatori scoprirono che la vitamina D veniva metabolizzata nel fegato e nei reni ed era in grado di controllare i livelli di calcio nel sangue attraverso un’azione esplicata nell’intestino. – scrive il dottor Khalsa – Queste informazioni indussero gli scienziati a riclassificare la vitamina D come ormone piuttosto che come una vitamina – scoperta che innescò a sua volta altre ricerche”.
E queste nuove ricerche misero in luce che i recettori della vitamina D sono presenti in molti tessuti e organi e possono interagire con oltre duecento geni che, a loro volta, hanno elementi di risposta ad essi.
Nello specifico, quindi cos’è questa vitamina D che ha così tanta importanza nella prevenzione di malattie e disturbi anche gravi? Ce lo spiega il dottor Khalsa:
“La prima cosa da capire è che non si tratta di una vera vitamina. Per definizione, una vitamina è una sostanza essenziale alla salute umana ma che non può essere prodotta dal corpo.
La vitamina D, nella sua funzione più ovvia e fondamentale, è essenziale al metabolismo di calcio e fosforo nell’organismo. Senza di essa, non potremmo avere ossa in salute. Quindi è indispensabile per il nostro corpo, ma viene però prodotta dal corpo stesso quando ci esponiamo ai raggi UVB del sole. Poiché la vitamina D è prodotta dal corpo, non corrisponde ai due criteri necessari per definire una vitamina, quindi in realtà non lo è”.
Si tratta, più propriamente, di un ormone steroideo, capace di regolare i livelli ematici del calcio, contribuendo alla salute delle ossa. Poiché è liposolubile, è in grado di attraversare le membrane cellulari per legarsi ai recettori. Quindi, anche se il nome vitamina è improprio, è comunque rimasto per sottolineare l’importanza che ha sulla salute e sulla nutrizione. Più nello specifico, quando si parla di vitamina D, si fa riferimento a due tipi di vitamine:
- la vitamina D2: che è prodotta dalle piante e dai funghi quando sono esposti alla luce del sole. Il nostro corpo, invece, non è in grado di produrla, ma si trova in molti integratori sintetici di vitamina D, pur avendo dimostrato gli studi che questa forma è molto meno efficace nel far salire i livelli di vitamina in chi ne ha carenza;
- la vitamina D3: è la forma prodotta naturalmente dal nostro organismo sia umano che animale quando pelle e pelliccia sono esposte ai raggi del sole ed è considerata la forma più potente delle due, nonché la più sicura.
La vitamina del sole
Uno dei nomi con cui è conosciuta la vitamina D è vitamina del sole, poiché, appunto, è attraverso l’esposizione al sole che il nostro organismo è in grado di sintetizzarla. Bastano 12 minuti appena di esposizione al sole del pomeriggio in estate con gambe e braccia scoperte per fornire a una donna di pelle bianca circa 3000 UI di vitamina D.
Anche se sembra un gioco da ragazzi, bisogna tenere conto che ci sono dei fattori che sono in grado di inibire la produzione di tale vitamina: motivo per cui stare all’aria aperta potrebbe non metterci al riparo da una eventuale carenza. Eccone alcuni:
- latitudine: le persone che abitano al di sopra dei 35 gradi di latitudine (ad esempio i paesi nordici in Europa ma anche il Canada) non riescono a produrre vitamina D attraverso l’esposizione al sole da novembre fino a marzo, a prescindere dalla durata dell’esposizione.
- Stagione dell’anno: la quantità di vitamina D che deriva dal sole non sarà uguale nel corso dell’anno. Generalmente, la maggior parte delle persone con un’esposizione media al sole ha livelli di vitamina D maggiori rispetto a quelli che ha alla fine dell’inverno. Ovviamente man mano che si sale più a nord la differenza si fa più marcata.
- Inquinamento atmosferico: uno studio indiano ha misurato i livelli ematici di persone che vivevano in aree con elevato inquinamento atmosferico scoprendo che il 54% aveva meno vitamina D di chi risiedeva in aree dove l’inquinamento era più contenuto. Tra i bambini nelle aree inquinate, il 46% aveva carenza di vitamina D e il 12% mostrava rachitismo.
- Utilizzo di creme solari: le creme e i filtri solari proteggono sì dai raggi dannosi per la salute, ma anche da quelli che permettono la produzione di vitamina D. Una crema solare con fattore di protezione 8 abbatte fino al 92% la produzione di vitamina D, un fattore di protezione 15 fino al 99%. La discussione è aperta proprio sul fatto che proteggere la pelle dai raggi solari dannosi mette anche a rischio di sviluppare malattie dovute alla carenza di vitamina D. Che fare, quindi? Ecco il consiglio del dottor Khalsa: “Io suggerisco ai miei pazienti di trascorrere alcuni minuti al sole prima di applicare la crema. In questo modo la pelle riesce a produrre un po’ di vitamina D prima di essere privata dei raggi UV”.
- Contenuto di melanina della pelle: le persone con la pelle scura hanno maggiori probabilità di andare incontro a carenza di vitamina D, poiché la loro pelle tende a una minore produzione. Anche nelle persone già abbronzate diminuisce drasticamente la produzione di vitamina.
- Età: invecchiando siamo meno inclini a produrre vitamina D, quindi gli anziani sono più a rischio di carenza.
- Peso: le persone in sovrappeso hanno maggiori difficoltà a produrre vitamina D, perché essendo liposolubile viene assorbita dalle cellule adipose.
L’assunzione con il cibo è sufficiente?
Molti nutrizionisti ed esperti sostengono che si possano ottenere quantitivi sufficienti di vitamina D mangiando alimenti che ne sono ricchi. Questi sono:
- l’olio di fegato di merluzzo;
- il salmone;
- lo sgombro;
- le sardine;
- il tonno;
- le uova;
- il fegato di manzo.
In realtà bisogna tenere presente, afferma il dottor Khalsa, che questo contenuto è insufficiente per garantire benefici e che la maggior parte delle persone non mangia in modo equilibrato, per cui affidarsi solo agli alimenti come fonte non garantisce una protezione da una carenza.
Carenza di vitamina D: i rischi sulla salute
Secondo il dottor Khalsa: “Le statistiche riguardanti la carenza di vitamina D sono allarmanti. […] La carenza di vitamina D sta raggiungendo proporzioni epidemiche e sta compromettendo la salute presente e futura dei nostri figli. Eppure è molto facile da correggere”.
I valori di vitamina D si misurano con delle semplici analisi del sangue; tuttavia, ci sono dei sintomi che possono fungere da campanelli di allarme, che possono indicare una eventuale carenza di quest’ormone:
- debolezza muscolare;
- sensazione di pesantezza alle gambe;
- dolore muscoloscheletrico cronico;
- sensazione di fatica o facile affaticamento;
- infezioni frequenti;
- depressione.
Monitorare i livelli e fare eventuali integrazioni è importante per la propria salute. Una carenza prolungata mette a rischio di malattie, anche degenerative, poiché essendo essa un ormone, è in grado di determinare la nostra salute. Secondo il dottor Khalsa, poi, ad oggi, nonostante gli studi è impossibile sapere quante e quali malattie possano dipendere e migliorare con dosi adeguate di vitamina D.
Ecco le sue parole: “Statistiche affidabili hanno dimostrato che la maggior parte delle persone che ha gravi malattie, ha anche una carenza di vitamina D o l’ha avuta in precedenza. Molti studi hanno determinato che la vitamina D può fornire protezione per un’ampia gamma di malattie, dal raffreddore fino al cancro”.
Una volta stabilita la carenza, qual è il modo migliore di agire per ripristinare i giusti valori? Ecco come la pensa il dottor Khalsa: “Secondo me il miglior trattamento per la carenza di vitamina D si basa sugli integratori di D3”.
E per quanto riguarda il dosaggio, spiega: “La quantità di vitamina D necessaria a ogni singolo paziente varia secondo il peso e il grasso corporeo e anche l’età. Inoltre, cosa che non accade con l’esposizione al sole, è possibile, anche se raramente, che l’assunzione orale di vitamina D possa divenire tossica. […] Poiché l’invecchiamento indebolisce la capacità della pelle di produrre vitamina D, una persona anziana potrebbe avere bisogno di una dose maggiore rispetto a una giovane, dando per scontato che entrambe si espongano comunque al sole. E le persone di pelle scura solitamente necessitano di una dose più alta di vitamina D rispetto alle persone di pelle chiara, sempre che anche in questo caso ci sia esposizione al sole.”
C’è sicuramente ancora molto da studiare sull’argomento, poiché la vitamina D rimane, in parte, ancora misteriosa nei ruoli in cui è chiamata in causa. “L’azione della vitamina D è talmente ramificata che non riusciremo mai a conoscere la reale diffusione delle malattie fino a che non ci concentreremo sulla carenza di tale vitamina”. – afferma il dottor Khalsa – L’esperto dell’argomento, il dottor Cedric Garland, ha fornito la sua opinione sulle implicazioni dovute a una soluzione globale di carenza di vitamina D: «La prima cosa che vedremmo sarebbe la riduzione di circa il 75% di tutti i tumori invasivi nel loro complesso, oltre a una riduzione analoga del cancro al colon e del cancro al seno, e probabilmente una riduzione del 25% del cancro alle ovaie»”.
Ecco perché la missione che si è posto il dottore è proprio quella di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di questa vitamina. Il suo libro è proprio un tentativo chiaro, fruibile e interessante che ci permette di comprendere perché dovremmo preoccuparci di più di evitare possibili carenze.