Il primo libro originale italiano che tratta di Ashtanga Vinyasa Yoga
Yoga
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Avrei voluto intervistare i due autori del libro Ashtanga Yoga, invece di scriverne una recensione come mi è stato chiesto, ma in estate tengono dei seminari lontano da Torino (la loro città e anche la mia, adottiva, dove avremmo potuto incontrarci), e così non è stato possibile, anche se sarebbe stato – per me – molto più facile, perché io faccio l’insegnante di yoga da 34 anni, ma non di Ashtanga Vinyasa, e di questa disciplina, gli autori Stefania Valbusa e Gian Renato Marchisio, che la praticano e insegnano da anni, avrebbero parlato molto meglio di me. Tenterò lo stesso, usando a volte anche le loro parole. A cura di Cinzia Picchioni
Redazione Web Macro
Comincerò col dire che non posso che consigliare un libro che si apre trattando i 5+5 «precetti» dello yoga indicati da Patanjali (e nel «suo» yoga, detto a volte ashtanga yoga, nel senso «degli 8 Passi» i cui primi 2 sono appunto yama e niyama). Nessuna confusione tuttavia, come scopriremo all’interno dove tutto è finalmente ben spiegato, anche grazie all’aggiunta della parola magica – vinyasa – pure quella raccontata per bene fin dalle prime pagine: «Nel testo, la pratica Ashtanga Vinyasa Yoga verrà indicata come Aṣhtanga Yoga seguendo la tradizione di Sri K. Pattabhi Jois, consci che il termine Aṣhtanga Yoga fa riferimento al più ampio sistema dello yoga di Patanjali», p. 7.
Forma e contenuto
La copertina (e le molte foto all’interno) vale tutto il libro: i due autori – bellissimi (anche dal vivo; come ho già scritto li conosco personalmente, e sono belli pure dentro) – guardano in alto, proprio verso il titolo, inginocchiati in un asana impossibile per la maggior parte di noi… ma è veramente bella, la copertina, e anche il titolo, che ci svela il contenuto:
«Proseguendo nel cammino della pratica yoga, la magia avviene quando smettiamo di considerare il movimento e il respiro come due entità separate da combinare in qualche modo. Intuiamo che il movimento non esiste al di fuori del respiro, che il corpo e il movimento sono il respiro stesso. Nel vinyasa, il movimento e il respiro si uniscono in un’unica essenza che li trascende entrambi. Il corpo è strumento del respiro e il respiro è strumento del corpo», p. 7.
I due autori – una coppia anche nella vita – non sono solo belli, ma esperti e preparatissimi nella loro professione di insegnanti, da molti anni, di Ashtanga Vinyasa Yoga. Così lungo i capitoli troviamo spiegazioni e chiarimenti su tutto il «lessico» yogico specifico: krama, karma, movimento toroidale, trishtana, tensegrità (non perdetevi le spiegazioni in proposito!): «Il principio di tensegrità arriva infatti dall’architettura, dall’arte, dalla biologia e dalla fisiologia come caratteristica del sistema muscolo-scheletrico.
Il principio di tensegrità esprime l’equilibrio tra forze opposte attraverso l’integrazione tra parti mobili e parti stabili, tra elementi in tensione e elementi in compressione», p. 56.
Contenuto e forma
Il libro è organizzato in quattro capitoli che affrontano la pratica progressivamente da un piano più teorico-filosofico ad un piano concreto e didattico.
«Il punto di vista che porteremo avanti nel nostro libro riconosce agli asana il valore di avvicinare il praticante alla disciplina yoga attraverso la pura gioia del movimento. Infatti la leva che permette di sviluppare abhyasa e vairagya, una pratica costante e creativa basata sul non attaccamento, sta proprio nel sentire con piacere il corpo muoversi nello spazio e potersi esprimere nella consapevolezza di un moto armonico. Il fine della pratica degli asana non sono gli asana stessi ma acquisire quella stabilità fisica e mentale necessaria a continuare il proprio sadhana verso i rami successivi. Questo bilanciamento armonico avviene quando asana è stabile e confortevole, shtirasukha» p. 18.
Non mancano le pagine «classiche» per conoscere il metodo (come recita il titolo del capitolo: Il codice di lettura dell’ Ashtanga Yoga): Bibliografia con testi di riferimento e testi citati nel corso del libro; spiegazioni di come praticare il Saluto al Sole (Surya Namaskara); foto esplicative di come effettuare gli aggiustamenti (dove mettere le mani insomma, affinché – anche – non ci siano fraintendimenti nella relazione allievo/insegnante e viceversa) secondo queste indicazioni:
«Ne deriva l’evoluzione dell’interpretazione dei ruoli di insegnante e allievo che si stacca sempre di più dalla visione culturale dell’insegnante-maestro-guru il cui punto di vista non viene messo in discussione e dell’allievo che rispettosamente si inchina. Un crescente senso di responsabilità delinea il nuovo rapporto, chiedendo all’insegnante sempre maggiori competenze a livello anatomico, funzionale e psicologico e all’allievo una partecipazione attiva nell’aggiustamento».
E allora – scusate l’inevitabile nota polemica – come la mettiamo con l’on-line? Si aprirebbe un dibattito che esulerebbe dall’argomento della recensione, ma prima o poi andrà fatto! Perché «facendo yoga» succedono delle cose – sia a chi insegna sia a chi impara – e se l’insegnante non è lì, fisicamente presente, come se ne accorge? E come interviene se c’è da intervenire? Per la futura riflessione basterà partire da p. 29:
«Ad esempio, se un praticante dopo una sequenza di posizioni indietro ha un break emotivo che si manifesta con un pianto, è possibile che la pratica abbia fatto emergere un antico dolore sedimentato nel corpo a livello del plesso solare. Questo dolore senza la pratica magari sarebbe rimasto lì per sempre portando a conseguenze più gravi in futuro. In un certo senso attraverso la pratica è stata “fatta brillare” una bomba».
Ma torniamo alle immagini; dalle foto traspare professionalità, conoscenza, amore e profondo rispetto per l’allievo da parte dell’insegnante che – lungi dal volere che l’allievo faccia la posizione secondo il modello che ha in testa – aiuta, nel vero senso della parola, a sentire come e dove convogliare l’energia, anche quella del movimento, ma anche del respiro, della mente, dello spirito, con distacco dal risultato. Tutto questo si vede nelle foto. Poi naturalmente ci sono le parole che fanno la loro parte per oltre 300 pagine.
Un bel libro – e non perché conosco gli autori (ho bocciato senza appello scritti di amici perché non erano all’altezza di diventare libri!) – da avere in biblioteca, nella sezione «Stili di yoga» (ammesso che voglia dire qualcosa, ma serve per capirci), in questo caso «Stile Mysore», soprattutto perché non è una traduzione, è un lavoro originale di due insegnanti che da anni praticano ciò di cui scrivono. Il che non è scontato ed è un valore aggiunto. Parola di insegnante di yoga e di redattrice e di autrice e di allieva di yoga (non ultimo).
Non perdere l'uscita del libro Ashtanga Yoga. Corpo, Respiro, Movimento nella pratica del Vinyasa