Insegno Yoga. Donna Farhi
Yoga
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Il libro Insegno Yoga di Donna Farhi è organizzato in 3 parti: la prima parte – La relazione con gli allievi – analizza la relazione fra l’insegnante e l’allievo, per condurre entrambi a decisioni più consapevoli. L’accento è posto sull’integrità con cui gli insegnanti conducono il proprio lavoro, su come condurre un gruppo di principianti, su come gestire il rapporto col denaro. Tutta la seconda parte – Il potere delle parole – tratta gli aspetti elencati (formazione; certificazione; correggere e toccare; rimborsi; abbigliamento adatto) e si scopre che c’è una differenza fra il rapporto insegnante/allievi, la gestione pratica di un centro yoga e le considerazioni etiche che la riguardano. La terza parte – L’eserciziario per l’insegnante – è proprio un manuale per insegnanti, con esercizi per ogni stadio del loro sviluppo (con uno sguardo all’etica dell’insegnamento), riporta alcuni “casi” e come si possono risolvere
Cinzia Picchioni
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Patanjali… e chi altrimenti?
Quasi ogni capitolo apre con un aforisma scelto su misura tra i Sutra di Patanjali, che ritroviamo elencati per intero nell’Appendice in fondo al volume, dove c’è anche l’Indice analitico (essenziale, ma estremamente utile).
Come potrei poi non notare, personalmente, che la frase-guida di un altro mio percorso (sempre “indiano”, ma con la tradizione dei Lakota-Sioux) è la stessa di cui parla l’autrice a p. 8 del libro: “[…] una verità fondamentale: siamo tutti connessi in modo inestricabile.”; in lingua Lakota si dice Mitakuye Oyasin”, “Tutto è collegato”.
Altre frasi culto all’interno del libro
“Nell’apprendimento dello yoga, l’insegnante può portare l’allievo solo fino a dove è giunto lui stesso”; oppure: “È difficile separare la vita professionale di un insegnante di yoga da quella personale.”
“Mentre in molte professioni è normale mantenere distinti il comportamento professionale e quello ammissibile nella sfera privata, la professione di insegnante di yoga non consente di avvalersi di tale sdoppiamento. Le fondamenta della tradizione dello yoga sono strettamente legate alla conduzione di una vita morale in cui le nostre azioni siano congruenti con i nostri valori. Quando rimuoviamo le implicazioni conservative che ora circondano il termine moralità e lo consideriamo in quanto comportamento che è riflesso di un grande rispetto per la vita, ci avviciniamo al vero significato di morale. Dopotutto, è desiderio di ognuno essere trattato con giustizia, gentilezza e rispetto. Questo è possibile solo se le nostre azioni sono guidate da solidi principi morali”.
E mentre si fa continuamente riferimento a yama e niyama, si narra dell’importanza di incontrarsi fra insegnanti, di organizzare incontri regolari, magari a cadenza fissa, per discutere le difficoltà degli allievi, studiare strategie per interventi efficaci, o semplicemente socializzare.
Sugli allievi ritardatari…
Nelle mie lezioni, gli allievi che arrivino in leggero ritardo aspettano, almeno, fuori della porta che noi che siamo già dentro abbiamo terminato di recitare il canto d’inizio, per rispetto di coloro che stanno cantando e che sono arrivati secondo l’ora di inizio della lezione. Mi ha fatto piacere trovare che anche Donna Farhi, l’autrice di questo libro, per le sue lezioni, chieda espressamente ai suoi allievi di aspettare il termine del canto d’inizio per entrare nella sala.
A proposito del silenzio (e di alcune norme di comportamento da affiggere all’interno del Centro presso cui si insegna) in Insegno Yoga si parla dell’importanza di mantenere la voce bassa, o di non parlare affatto, una richiesta che spesso proviene dagli allievi stessi – a me capita decine di volte che qualcuno alla fine della lezione mi dica: “quando esco dalla lezione di yoga non ho proprio voglia di parlare, e mi dà fastidio la voce alta degli altri”, allora abbiamo disseminato le scale e gli spogliatoi di cartelli che recitano “Sssst! Yoga in corso” o “Per favore parlate sottovoce. C’è qualcuno già in sala”. Donna Farhi scrive che addirittura, nei ritiri intensivi, lei chiede di mantenere il silenzio anche nei bagni, per non perdere il “focus”. D’altra parte ci sarà un motivo se andiamo in cerca di “settimane di silenzio” – o “di deserto” come sono anche chiamate – per disintossicarci dal rumore, dalle parole. Se veniamo a fare yoga per chiacchierare (prima e/o dopo), forse dovremmo trovare altre occasioni, credo. E soprattutto in sala non si dovrebbe proprio parlare.
… e sui ritardatari insegnanti
In Insegno Yoga ci sono pagine dedicate al “dress code”, lo stile di abbigliamento, all’interno del Centro yoga che frequentiamo (codice che vale sia per gli insegnanti sia per gli allievi) l’autrice ha stilato anche un elenco di istruzioni da appendere fuori della porta. L’ha intitolato “Welcome to the Yoga Tree”, (in italiano Benvenuto allo Yoga Tree). Fra le cose a cui fare attenzione c’è “mai portare il cellulare nella sala. Lasciatelo nella vostra auto”. Non ci credo di aver letto questa cosa, vorrei poterla chiedere anche dove insegno io – e vorrei poterla chiedere a chi va a teatro, in un museo, al cinema, e in tutte quelle occasioni in cui non si può rispondere e perciò non serve che portar con sé il cellulare. Ci sarà tempo dopo la lezione di vedere chi ti ha cercato. In compenso capita sempre che i cellulari, lasciati negli spogliatoi (magari non troppo lontani dalla sala) suonino, perché ci siamo dimenticati di spegnerli/silenziarli.
Troppo divertente è tutto il capitolo che riguarda l’abbigliamento appropriato per la pratica: rivolto sia agli insegnanti (soprattutto), sia agli allievi. Narra, parafrasando il film Blade runner, di come “vedemmo cose che non potete immaginare” fuoriuscire da micromagliette, mutande, calzoncini… Va bene che lo yoga in passato era praticato col corpo nudo, ma si era da soli, si era nella foresta, si era al massimo con il proprio guru, si era tutti maschi! Farhi riporta racconti ed esempi che chi insegna non può non riconoscere, problematiche pratiche con cui tutti abbiamo a che fare, prima o poi, e perciò molto rilevanti – non si deve sempre parlare solo dei massimi sistemi! In una scuola possono esserci anche problematiche di questo tipo e bene ha fatto l’autrice a scriverne, proponendo soluzioni.
Donna Farhi consiglia di vestire abiti comodi, di non avere profumi troppo forti, di avvertire l’insegnante se abbiamo qualcosa che non va, perché non tutte le posizioni sono adatte a tutti, ma anche che non è richiesta una particolare flessibilità, lo yoga è per tutti. C’è anche scritto di arrivare presto alla lezione e, se siamo arrivati all’ultimo momento, aspettare fuori dalla porta che l’insegnante abbia cominciato a parlare e/o siano cominciati i movimenti e le posizioni e solo a quel punto entrare, srotolare il tappetino ed entrare il più lentamente e quietamente che possiamo. Tutti ottimi consigli che sarebbe un sogno vedere messi in pratica regolarmente!
Questioni etiche nello yoga
Evidenziate da un fondino che ci permette subito di trovarle, sono trattate molte questioni che riguardano l’etica (denaro, numero di allievi in una classe, rapporti confidenziali con gli allievi/e ecc.). Un paragrafo è dedicato alla “confidenza”, all’opportunità o meno di usare qualche confidenza che un allievo o un’allieva ci ha fatto (sul suo stato di salute o altro) per illustrare qualcosa, e/o parlare di lui/lei con altri/e allievi/e. Insomma, la ricerca è quella di un comportamento professionalmente etico, anche se confidenziale, con gli allievi. Molto interessante anche il ruolo dell’insegnante visto dalla parte dell’allievo: Archetipi: come vive l’insegnante nella mente dell’allievo (terapeuta, prete, parente, amante, transfert ecc.).
Il libro sullo yoga che non c’era
Bellissimo! Necessario! Era ora! Questo libro si rivolge prevalentemente agli insegnanti, ma non – come altri libri – con delle tecniche. Qua c’è il “come” originario, prima, durante e dopo il “cosa”.
In effetti occorre stabilire dei paletti, dopo un po’ che insegni, e soprattutto quando si comincia ad avere un’esperienza pluriennale non ci si può permettere di “fare le cose un po’ così”, con pressappochismo.
Infine e finalmente – così magari ci capiamo su ciò che stiamo facendo quando decidiamo di insegnare yoga (e non stretching, né pilates, né training autogeno, né genericamente “psicoterapia di gruppo”, né “siamo un gruppo di amici che si trovano per stare bene”) – l’autrice propone un codice etico, creato dal Centro per la ricerca e l’educazione yoga (Yrec, Yoga Research and Education Center). Il mio consiglio è di osservare con attenzione ciascun punto di questo codice e, se dirigiamo un Centro yoga, adattarne ognuno alla nostra particolare situazione, andando “oltre” il codice.
Il codice apre con 5 delle 10 “indicazioni” di comportamento scritte da Patanjali negli Yoga-sutra: ahimsa, satya, asteya, brahmacharya, aparigraha, e poi elenca 18 punti che cominciano tutti con “Gli insegnanti di yoga…” si asterranno dal…, sono aperti a…, eviteranno di…, faranno…, non forzeranno mai…, eccetera. Un codice deontologico, proprio come quello che si sta cercando di creare anche in Italia (la Yani – Yoga Associazione Nazionale Insegnanti – di Milano in testa) e in Europa, perché ormai chiunque crede di poter insegnare una disciplina così complessa e profonda come lo yoga dopo un annetto o pochi week–end di “corsi”, senza che la propria vita sia coinvolta, immaginando di fare l’insegnante di yoga come si farebbe l’istruttore di nuoto o di ginnastica aerobica. Ecco anche perché c’è bisogno di un libro come questo. Che finora non c’era!